domenica 7 settembre 2008

MORIRE DEMOCRISTIANI

Nell'ultimo numero della rivista "Formiche" è stato pubblicato l'articolo che riporto. Mi pare che contenga spunti di riflessione interessanti, specie in un momento in cui tutti si affannano nell'affermare che non ha più senso un partito di cattolici.
Non solo io ritengo che hanno abbia ancora senso, per il nostro Paese, un partito di cattolici specie dopo l'esperienza della diaspora di questi ultimi quindici anni seguiti al "suicidio" della DC, ma ho la presunzione di ritenere che tale partito non necessariamente debba avere la "benedizione" della Conferenza Episcopale Italiana, proprio perché credo nella laicità della politica.
Comunque, mi sono state di conforto le parole pronunciate oggi a Cagliari da Benedetto XVI.

Ecco l'articolo pubblicato su "Formiche"

Morire democristiani”: per molti ha rappresentato una paura, per tanti altri (soprattutto negli anni della seconda Repubblica) una speranza. Oggi, sembra più che altro un ricordo. Come non si può non notare la marginalizzazione di quella storia e di quegli uomini in questo Parlamento o in questo governo? Il dubbio è che non si tratti di un caso ma di una novità sostanziale. Dopo la fine dell’unità politica dei cattolici (e dell’egemonia Dc), la presenza cristiana era persino aumentata. L’abile regia di Camillo Ruini era riuscita a pervadere i Poli di una significativa nerbatura post-Dc. L’arrivo di papa Ratzinger e l’uscita di scena dello storico capo della Cei ha coinciso con un profondo ridimensionamento dei cattolici nelle istituzioni.
Il punto però non attiene solamente all’aspetto più apparente e superficiale dell’organizzazione del potere in Italia. Quel che oggi viene svelato è il pensiero debole dei centristi (di destra, sinistra e centro): un difetto strutturale di identità e missione.
La capacità politica di Berlusconi di interpretare l’elettorato senza la mediazione dei corpi intermedi, partito incluso, ha determinato uno sbandamento di quei protagonisti abituati alle liturgie, complesse e raffinate, della prima Repubblica. Di più, si è aggiunto il lavoro di elaborazione politica di Giulio Tremonti che ha riformulato le linee guida di una moderna economia sociale di mercato. Tutto questo ha spiazzato gli ex-dc. Che da un lato si erano “dimenticati” di affrontare in modo sistematico ed organico i temi economici e dall’altro sono rimasti prigionieri del pregiudizio anti-Cav, ritenuto – a torto o a ragione – un “usurpatore”. E non è un caso che a finire fuori gioco ci siano anche gli eredi dell’altra grande tradizione politica italiana: la sinistra.
Considerando Berlusconi un’anomalia sono diventati loro stessi – i rappresentanti dell’ortodossia partitica – un’anomalia.
Il guaio più grande è stato pensare che la storia e il presente politico dell’Europa non li riguardasse. È invece l’ancoraggio alle formazioni del Pse e del Ppe la chiave per la normalizzazione del sistema dei partiti in Italia. Certo, sono due grandi famiglie al cui interno convivono identità anche diverse ma quelle restano i punti di riferimento irrinunciabili per le forze politiche. E non c’è dubbio che Pse e Ppe siano alternativi fra loro anche se questo non esclude che, su singoli dossier, e in certi casi possano collaborare (al di là di uno scontato dialogo). Tradotto in italiano, questo significa che il Pd non può non essere nel filone del socialismo europeo e che l’Udc deve fare della sua storica appartenenza al Ppe un fatto strategico. Che, tradotto a sua volta, vorrebbe dire che non può non avere un rapporto privilegiato – ancorché su posizioni distinte – con l’altro partito iscritto nella famiglia popolare, il Pdl. È evidente che il partito di Casini se preferirà, per ragioni assolutamente legittime, non aderire al processo costituente del Pdl dovrà sfidare i cugini ex Forza Italia e An sul terreno dell’identità e del programma, magari recuperando l’adesione di exdc collocati nel Pd. Nel confronto fra le diverse anime del Ppe si potrebbero scoprire le tante contraddizioni del Pdl ma anche le altrettante possibili convergenze con l’Udc. È più importante il dibattito sulla leadership (su cui sono comunque gli elettori a svolgere funzione di arbitro) o la politica? Economia sociale di mercato e sussidarietà possono essere gli argomenti su cui rinnovare l’esperienza democristiana, o cattolica.
In autunno, per forza di cose, si riaprirà seriamente il cosiddetto cantiere delle riforme (una sorta di Salerno- Reggio Calabria del Parlamento). La Lega chiede il federalismo fiscale. I post-dc dovrebbero approfittarne per affermare la loro visione costituzionale e quindi chiedere di procedere contemporaneamente nella riforma della Carta, a partire – insistiamo! – dal titolo V e senza escludere forma di governo e giustizia. La crisi economica che sta muovendo solo i primi passi impone non solo una rigorosa politica di bilancio ma anche istituzioni maggiormente funzionali ed efficaci, tanto a livello nazionale (e locale) quanto a livello internazionale. Le scelte di questo governo sono assai discutibili (pensiamo per esempio alla mancata riforma dei servizi pubblici locali o alla volontà di non ridimensionare le province) ma molte vanno nella direzione giusta. Pensiamo alle proposte di Tremonti in sede europea e di G8. D’Alema, con senso di Stato, le segue con attenzione e spesso con favore. Perchè gli ex-dc che sono a vario titolo nell’opposizione debbono giocare di retroguardia? Per morire democristiani c’è bisogno dei democristiani, e perché i democristiani ci siano c’è bisogno che la strategia prevalga sulla tattica.

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