domenica 27 dicembre 2009

UDC genovese, trasformismo ed etica


Radio Bassa Prua diffonde, da più giorni, la notizia che il corrispettivo del possibile sostegno dell’UDC a Burlando (PD) nelle prossime elezioni regionali in Liguria sia costituito da un profondo sommovimento nelle Giunte Comunale, Municipali e Provinciale di Genova con l’affidamento di assessorati all’UDC, per cui l’asse PD-UDC diventerebbe la spina dorsale del nuovo centrosinistra genovese, con conseguente ridimensionamento politico degli altri partiti attualmente presenti in maggioranza..

Insomma, Radio Bassa Prua da per scontata una nuova stagione del centrosinistra a Genova, senza alcuna legittimazione elettorale, nel più puro stile di “trasformismo” politico che tanti danni ha già inferto, per il passato, al nostro Paese. Qui non si tratta del “cambio di casacca” di qualche eletto (fenomeno, sul quale esistono valutazioni estremamente diversificate), ma del cambio di fronte di un intero partito – l’UDC - che alle elezioni del 2007 si era presentato quale parte attiva di una coalizione di centro-destra (Alleanza Nazionale, Forza Italia, Lega Nord, Lista Biasotti ed UDC) con un comune progetto politico, ovviamente diverso e confliggente rispetto a quella presentato dal centrosinistra. Quel progetto e quella coalizione fu sconfitta dagli elettori che inviarono il centro-destra all’opposizione.

Nulla è cambiato da allora. La proposta politica del centrosinistra è rimasta immutata e nulla può giustificare per l’UDC il “cambio di fronte” in corso d’opera, salvo accedere ad una visione della vita politica ed amministrativa disciplinato dalla sola logica del “potere”: non importa ove dirige la nave e quali siano i suoi propellenti, ciò che importa è stare sul ponte di comando. Questo tipo di logica non appartiene alla cultura, agli ideali ed alla storia dei cattolici impegnati in politica.

Sarebbe tedioso ripetere le “criticità” delle Giunte di centrosinistra genovesi, ma sicuramente non è tedioso evidenziare come nel 2007 l’UDC si sia presentata quale antagonista al centrosinistra e, in tal senso, abbia ottenuto i voti dal proprio elettorato.

Per questo ritengo – essendo stato protagonista quale membro della dirigenza UDC che strinse l’alleanza con gli altri partiti della coalizione a favore di Musso (in Comune) e della Oliveri (in Provincia) – che debba essere mantenuto fede al mandato elettorale, dimostrando che le ipotesi di Radio Basso Prua sono campate in aria. Peraltro la legittimità e la permanenza nel tempo delle decisioni assunte nel 2007, restano integre anche se l’UDC provinciale è stata commissariata, salvo far venir meno la credibilità di un intero partito.

Parlare di eticità nella vita pubblica, senza viverla – anche con sacrificio – è un’incoerenza che l’UDC genovese non si può, né si deve permettere.





martedì 8 dicembre 2009

BUTTIGLIONE. Tra l'UDC e la sinistra c'è un abisso

tratto da circolodell'amicizia.splinder.com

venerdì 4 dicembre 2009

Il “caso Fini” monopolizza l’attenzione all’interno del Pdl, in una delle settimane più delicate per il governo, alle prese con i processi a carico del premier e le pesanti accuse mafiose da parte del pentito Spatuzza. Nel panorama politico c’è però chi ha scommesso da tempo su un profondo cambio di scenario e sulla fine del bipolarismo. Questa sembrerebbe l’ipotesi dell’Udc di Casini, che, nell’attesa di un nuovo assetto, tratta separatamente con Pdl e Pd le alleanze alle elezioni regionali. Ne abbiamo parlato con l’On. Rocco Buttiglione.

Qual è la vostra posizione in questo delicato frangente dell’esecutivo e forse del bipolarismo stesso?
Noi pensiamo che il bipolarismo abbia fallito. Da 15 anni questo paese non cresce, si è smarrita la politica e la capacità di mettere d’accordo la gente su un progetto di bene comune. Si è pensato che dicendo “o di qua o di là” si risolvessero i problemi, il risultato invece è che chi vince le elezioni non riesce a governare, perché deve conciliare posizioni troppo diverse. In secondo luogo ogni governo spende il suo tempo a disfare ciò che ha realizzato quello precedente perché si fanno le riforme senza il minimo accordo con l’opposizione. In questo modo si prendono meno decisioni, contrariamente a quanto si crede, e la gente non si sente rappresentata.
È giunto il momento di cambiare sistema. Quale sistema e quale legge elettorale avete in mente?
Guardi, siamo circondati da esperti di sistemi elettorali che ci dicono: “Bisogna fare come in tutta Europa, due schieramenti e il Presidente del Consiglio eletto direttamente dal popolo”. In realtà non esiste alcun paese europeo nel quale il premier sia eletto dal popolo e tutti i sistemi elettorali, tranne quelli di Gran Bretagna e Francia, sono proporzionali. Il sistema migliore mi sembra il proporzionale alla tedesca.
È un problema solo di modelli? Sembra invece che i mali che affliggono la politica siano sempre gli stessi al di là delle soluzioni formali?
A mio parere questo paese si governa solo dal centro, ci sono troppi estremismi, troppa faziosità e un clima perenne da guerra civile. Anche alla Camera, se non ci fosse quella striscia esile di parlamentari dell’Udc quelli dell’Idv e della Lega si picchierebbero. Il centro non è solo un concetto politico-geografico, è il luogo elettivo dei cristiani impegnati in politica, la casa di quelli che sanno che la risposta alle domande fondamentali della vita vengono dalla religione e non dalla politica. Bisogna laicizzare la politica e paradossalmente possono farlo solo i credenti. La scommessa di posizionarvi fuori dai due poli è stata vinta, visto che c’era il rischio di scomparire.
Siete però davvero convinti che gli italiani vorranno rinunciare al bipolarismo, pur coi limiti che ha sottolineato prima?
A nostro avviso gli italiani sono stanchi di un sistema in cui gli estremisti trionfano e nel quale la politica si riduce alla lotta a morte per distruggere l’avversario. Nel sistema che ho in mente le maggioranze si possono anche dichiarare prima del voto, questo non è un problema.
Tornando all’attualità, siete equidistanti dal Pdl di Berlusconi e dal Pd di Bersani?
No. Tra noi e la sinistra c’è un abisso antropologico che riguarda la concezione della persona umana, della vita, del matrimonio, della famiglia, dell’educazione e una lontananza dal loro approccio statalista. Tra noi e Berlusconi c’è invece un abisso di un’altra natura.Su quali temi?Una diversa concezione delle istituzioni, dello Stato, della Costituzione. Il nostro elettorato è vicino all’elettorato del Pdl, ma siamo molto preoccupati dalla deriva di Berlusconi, che si sta mettendo tutti contro.
Non siete quindi equidistanti, ma più vicini al centrodestra, anche a livello di elettorato. È la presenza di Berlusconi a impedire per ora un ritorno dell’Udc nella coalizione di centrodestra?
Non è la presenza di Berlusconi a impedirlo, perché tutti possono rinsavire, è la linea che sta portando avanti.
Se tra l’Udc e la sinistra c’è un “abisso antropologico”, com’è possibile che si parli di alleanze con la sinistra a livello regionale. Pare che D’Alema sia disposto a sacrificare Nichi Vendola e Mercedes Bresso per ottenere la vostra alleanza, non solo alle regionali…
Posto che non abbiamo nessuna paura ad andare da soli, ad oggi non abbiamo deciso nulla. Berlusconi sembra non avere fretta di scegliere per tenere sulla corda gli alleati, mentre Bersani non ha ancora il controllo del suo partito. Se sul territorio emergeranno le condizioni per allearsi per il bene delle comunità locali siamo disposti a parlare. Il candidato presidente e il programma però si decide insieme, altrimenti andiamo da soli.
Al di là delle regionali è ipotizzabile nel futuro ritrovare l’Udc al governo con la sinistra?
Credo che sia possibile solo in caso di emergenza, se ad esempio Berlusconi portasse il Paese a elezioni anticipate per stravolgere la Costituzione.
Se davvero pensate a un grande centro, capace di stare in piedi da solo, l’alleanza con il nuovo soggetto di Rutelli è inevitabile, o sbaglio?
Vedremo. Sicuramente altri moderati del Pd seguiranno Rutelli perché è fallito un progetto politico, quello di Prodi e prima ancora di Dossetti: l’unione tra cattolici e comunisti. Non intendo dire che nella vita non si possa cambiare, ma esiste un dna e una linea evolutiva. Un lupo può diventare un cane, ma non un cavallo e un Heoippus può diventare un cavallo, ma non sarà mai un cane. Seconda lei stiamo rischiando una nuova Mani Pulite.
Cosa pensa di questa nuova stagione dei veleni e dei pentiti?
Tutte le volte che la politica riacquista il suo ruolo emerge dal fondo senza fine degli scandali italiani qualcosa che travolge di nuovo la politica e rilancia la lotta a morte delle fazioni, il pettegolezzo, il sospetto del tutti contro tutti. A Berlusconi consiglio di lasciar perdere il processo breve e di reintrodurre l’immunità per proteggere la politica dagli attacchi indebiti della magistratura.
Secondo lei in Italia opera una “giustizia a orologeria”? Vuole commentare l’avviso di garanzia al presidente della regione Lombardia Roberto Formigoni?
Sono convinto che Formigoni dimostrerà la sua innocenza, gli faccio i migliori auguri e colgo l’occasione per dire che Roberto ha governato bene la Lombardia. Se lui non sarà il candidato della Lombardia di alleanze non se ne parla nemmeno.


-->

lunedì 23 novembre 2009

UDC Ligure e Regionali 2010

Non ho idea se siano previsti interventi della “base” agli Stati Generali UDC Liguria che dovrebbero svolgersi Lunedì 30 novembre 2009.
Tuttavia, ho ben presente quanto appare sui mass-media e le dichiarazioni ufficiali dei responsabili UDC circa le possibili alleanze dell’UDC alle prossime elezioni regionali 2010.
Per questo esplicito il mio punto di vista al riguardo:

credo sia fondamentale, per lo sviluppo ed il futuro della Liguria, che la maggioranza che ha governato sinora la Liguria vada a casa; per tale motivo ritengo che l’UDC NON debba essere parte di alcuna alleanza che sostenga Burlando. A maggior ragione se questa alleanza dovesse comprendere l’IdV, i Verdi, Rifondazione Comunista e Comunisti Italiani: abissale è la distanza di valori e di ideali che separa l’UDC da questi partiti;
nessun compromesso è possibile con chi ha bloccato lo sviluppo economico e sociale della nostra Regione; è stato incapace di gestire il servizio sanitario; ha rallentato, anche mediante l’ azione corriva degli enti locali dello stessa appartenenza politica, la realizzazione di infrastrutture e di una portualità ligure; ha tollerato un servizio della mobilità regionale a livello di terzo mondo;
le vicende giudiziarie in corso – e la storia non pare finita – consigliano una chiara e netta discontinuità in Regione;
L’UDC ligure può considerare un successo raggiungere alle prossime regionali 2010 un 5% dei voti espressi, tenuto conto che alle Europee 2009 si è conseguito il 4,96 % (ma alle Politiche 2008 il 3,7%); questi voti sono stati espressi da un elettorato di area centrodestra. Qualora l’UDC decidesse di sostenere Burlando (con relativa presenza di IdV, Rifondazione, Verdi ecc.), sicuramente la percentuale scenderebbe in quanto non sarebbe sostituita da elettori del centrosinistra. In tal caso l’apporto dell’UDC a Burlando sarebbe ininfluente ai fini della sua vittoria, vittoria che sarebbe – quasi sicuramente – conseguita dal rivale Biasotti.
Schierare l’UDC Ligure a sostegno di Burlando e co. significa anche consegnare la rappresentanza del mondo cattolico ligure nelle mani di quei spezzoni di PdL particolarmente attivi (Compagnia delle Opere, Opus Dei ecc.), stante le decisioni assunte dal centrosinistra e dalla sinistra in materia di valori non negoziabili. Non illudiamoci che l’UDC sia in grado di contrastare in sede locale la spinta laicista in una maggioranza di centrosinistra.

Per tutto questo auspico fortemente che l’UDC non entri in alcuna alleanza politica di centrosinistra in Liguria.

domenica 15 novembre 2009

STATI GENERALI UDC LIGURIA


Stiamo ai fatti

L’UDC va avanti da sola come ha detto ai propri elettori, perché noi siamo in Parlamento nonostante il PdL e nonostante il PD. Ma laddove ci sono amministratori seri, per bene, con programmi che ci convincono, certamente non avremo paura di essere contaminati e lo faremo guardando in faccia i nostri elettori”.
Così Pier Ferdinando Casini nell’intervista la TG 5 ripresa dal quotidiano “Il Gazzettino” di lunedì 9 novembre 2009.

Stiamo ai fatti

Il Secolo XIX di Genova ha pubblicato le interviste a Burlando ed a Biasotti in cui i due candidati-presidenti proposti rispettivamente dal PD e dal PdL/Lega Nord dipingono l’idea di Liguria che intendono realizzare qualora eletti alla prossime regionali 2010.
Al momento è certo che Burlando sia sostenuto dal PD, da una Lista Civica e forse dall’IdV, mentre Biasotti sarà sostenuto dal PdL, Lega Nord e Partito Socialista.
Entrambi necessitano dell’apporto di altre formazioni per rendere “politicamente” credibile il loro impegno, anche se l’assurda Legge elettorale ligure assegna la palma della vittoria a chi raccoglie il maggior numero di voti, anche se non raggiunge il fatidico 50% + 1 dei suffragi favorevoli.

Stiamo ai fatti

Confesso che non ho trovato in alcuno degli affreschi proposti dai due candidati – che con parola più semplice possono essere considerati programmi di massima - alcun afflato, sintonia con le esigenza della nostra Regione; per entrambi una rimasticatura di cose vecchie e superate specie sotto il profilo degli ideali e dei valori che debbono essere alla base di un valido programma.
Se poi leggo questi programmi alla luce della “Caritas in veritate” – che per i cattolici costituisce una guida sicura di riferimento – lo sconforto mi assale e mi chiedo quando mai possa essere possibile un cammino comune con questi candidati. Il card. Tettamanzi, mai abbastanza ricordato Arcivescovo metropolita della Liguria, conclude un suo recente libro con questa frase “ “Questa dunque la più alta e moderna forma di caritas in re sociali: ridonare speranza a chi l’ha persa nella solitudine della paura”.
Nè speranza per il divenire delle popolazioni liguri e del suo territorio, né attenzione alla solitudine della paura dei cassintegrati, dei giovani senza lavoro, delle aziende che chiudono (vedi ad esempio Postel), degli artigiani e commercianti e PMI che vedono ridurre le loro commesse a vista d‘occhio., dei malati che non hanno cure adeguate in tempi utili. E l’elenco può continuare. Nulla di tutto questo nei programmi d Burlando e di Biasotti

Stiamo ai fatti

Come riconosciuto da Casini nel suo intervento al Teatro della Gioventù, sia Burlando che Biasotti sono persone serie. E su questo si può concordare.
Però i loro programmi NON convincono.

Vi è, quindi, una sola soluzione per le Regionali 2010 : correre da soli.

Sicuramente vale anche in Liguria l’asserzione dura di Casini espressa agli Stati Generali della Campania del 14 novembre scorso : “Ci vuole un progetto di alternativa convincente e non solo numerica, e chi ha problemi di assessorato vada via dall' Udc, perché non possiamo vendere l' anima per il potere.





martedì 10 novembre 2009

IL VIALE DEL TRAMONTO NON FA PER NOI

La Seconda Repubblica, nei fatti mai nata, sta volgendo al termine con una lenta, angosciante e triste – sotto il profilo dello squallore – agonia.
.
Ci saranno, ancora, dei colpi di coda, dei tentativi generosi per mantenerla in vita, ma nei fatti la sua fine è segnata e, quanto prima se ne prenderà atto, tanto meglio sarà per il nostro Paese. Per non essere frainteso non sto valutando la situazione con gli occhiali di una parte politica tesa ad addossare colpe e responsabilità sul proprio avversario. Mi limito ad osservare la situazione che si sta dipanando sotto gli occhi di tutti, ben felice se gli sviluppi avvenire dovessero darmi torto.
.
Non passa giorno che i mass-media, con compiacimento, ricamino su casi di corruzione presenti negli enti pubblici e privati; le inchieste giornalistiche si sommano a quelle della magistratura e portano alla luce casi di malversazioni e tangenti diffuse; la gestione del territorio fa emergere metastasi profonde causate dalla “contrattazione”, piuttosto che da una severa regia tesa a salvaguardare il bene primario della salvaguardia dell’ambiente e dell’ordinato sviluppo delle attività umane.
.
Strettamente interconnessi con questi aspetti di corrutela si pone lo stile di vita di molti che si trovano ai cosiddetti “piani alti” della politica e dell’economia. Si nota, spesso, un cinismo dominante, quasi che lo stile di vita non conti nulla. L’idea stessa che la carica o la funzione ricoperta comporti obblighi in materia di comportamento etico-morale non sfiora neppure lontanamente molti personaggi che ricoprono incarichi rilevanti nel settore economico, della Pubblica Amministrazione o della politica. Men che meno importa che si possa essere ricattati per questi comportamenti.
.
Peccato che ricatti, tangenti e corruzione siano un tutt’uno, come recenti episodi stanno a dimostrare.
.
La stessa indagine sul consumo di cocaina da parte dei “vip” pone almeno tre pensieri inquietanti: l’origine del denaro – e tanto – necessario all’acquisto della cocaina; l’effettività della lotta alla criminalità organizzata (camorra, mafia ecc.) che controlla il mercato della droga; l’incapacità di sviluppare politiche efficienti contro il dilagare del consumo di droga e le tossicodipendenze.
.
L’immoralità diffusa ed il cinismo dei comportamenti furono l’amalgama che agevolò il crollo della Prima Repubblica. Spesso le lezioni della storia si dimenticano o torna comodo ignorarle. Il risultato, complessivo, per il nostro Paese sarebbe tuttavia devastante: il tramonto della democrazia e della libertà. Per tutti.
.
Il viale del tramonto non si addice ai cattolici italiani che forti della propria storia e dei propri valori debbono contrastare questa deriva mettendosi al servizio del Paese per un percorso di ricostruzione e di speranza.

giovedì 29 ottobre 2009

Registro testamento biologico a Genova

Leggo, con profondo disagio, la notizia che un ex-Presidente diocesano dell’Azione Cattolica ed attualmente Assessore Comunale della Giunta Vincenzi inaugurerebbe, oggi, il Registro del testamento biologico del Comune di Genova.
Mi ero perso la notizia che la Giunta Comunale genovese avesse deliberato di istituire tale Registro per cui non conosco quale posizione avessero assunto al riguardo i cattolici Assessori presenti: mi auguro si siano opposti ed abbiano votato contro tale ipotesi.
Si potrebbe argomentare che il Parlamento sta esaminando questa questione e quindi qualsiasi delibera comunale al riguardo è fuori luogo e viziata di legittimità, così come si potrebbe ragionare sulle problematiche etiche, mororali e religiose sottese al testamento biologic
Si potrebbe.
Ciò che invece, voglio qui affermare è che un cattolico impegnato in politica, nel libero confronto con le altre posizioni ideali e valoriali presenti nella società, debba agire avendo presente l’orientamento costante della Chiesa a tutela della vita, dall’inizio alla fine. A maggior ragione tale impegno deve essere praticato da chi è stato – e forse lo è ancora – punto di riferimento per larga parte della comunità ecclesiale diocesana.
Resta il forte disagio e la constatazione che i “liberi ed i forti” di sturziana memoria stanno progressivamente diminuendo.

giovedì 8 ottobre 2009

LODO ALFANO e COSTITUZIONE

Ha ragione l'on. Bindi quando afferma che la Corte Costituzionale si pronuncia sulla base dei quesiti che gli sono sottoposti dal giudice che solleva la questione di costituzionalità di una norma.E questa volta è stata sollevata la questione se il lodo Alfano sia coerente con l'art. 138 della Costituzione.Il Ministro Alfano ha ragioni da vendere quando afferma che c'è stato un eccesso di ingenuità nel procedere alla modifica del Lodo Schifani sulla base delle indicazioni che nel 2004 aveva espresso la Corte.
Sarebbe stato saggio provvedere con Legge Costituzionale perchè prima o poi un'eccezione di incostituzionalità sul Lodo Alfano sarebbe stata eccepita visto il clima che serpeggia nella magistratura: se passava questa volta, ne sarebbe stata sollevata un'altra dopodomani di questione di incostituzionalità.
Tutto sommato la Corte Costituzonale ha fatto un buon servizio al Paese: non ha respinto - se non per connessione all'art. 3 della Costituzione - il concetto che possa esserci una particolare tutela per alcune cariche dello Stato; ha respinto che tale tutela possa essere introdotta con legge ordinaria.
La stesura dell'art. 68 della Costituzione adottata dai Costituenti - che prevedeva l'immunità - era di gran lunga migliore di quello modificato ed attualmente in vigore.
Adesso recuperare certi concetti ed introdurli nella Costituzione sarà una strada impervia visto il giustizialismo barricadiero che alligna nel Paese.
Ma è una strada da percorrere se si vuole essere classe dirigente del Paese.
Le polemiche susseguenti alla decisioni della Corte Costituzionali lasciano il tempo che trovano, salvo testimoniare il clima invelenito che attraversa il Paese.
Mi permetto, solo, di osservare come anche il Capo dello Stato sia stato preso in contropiede dalla sentenza della Corte Costituzionale.
Anche lui se ne sta facendo una ragione, come tutti quelli che considerano i tanti pronunciamenti della Corte che hanno dichiarato incostituzionali moltissime disposizioni legislative nel corso degli anni.
La saldezza degli animi caratterizza chi è classe dirigente non i quaquaraqua

lunedì 5 ottobre 2009

PRODURRE UTILI E REALIZZARE PARTECIPAZIONE

Il tema della partecipazione dei lavoratori alla vita della propria azienda costituisce, pur sotto traccia, l’argomento più innovativo di una stagione politica pruriginosa. Alcuni l’hanno minimizzata, altri – culturalmente sordi – l’hanno ignorata, altri ancora l’hanno respinta in quanto ancorati ad una concezione archeologica dei rapporti sociali in una società evoluta: tanto per intenderci da padrone delle ferriere.
Certo, avvince la tautologica affermazione di Casini (UDC) che prima di pensare alla compartecipazione agli utili occorre operare perché le nostre aziende producano utili. Questa affermazione si ferma sull’uscio del problema e non ne apre la porta.
.
Concordo, con il ministro Sacconi (PdL) quando nell’affermare “che i tempi sono maturi per estendere buone pratiche già ampiamente diffuse sul territorio” esprime l’avviso che “la nostra cultura di impresa è infatti impregnata della categoria della partecipazione”. Su questa lunghezza d’onda si ritrovano Galassi, presidente Confapi, “La democrazia economica è nei fatti già presente nelle piccole medie imprese. La partecipazione dei lavoratori alla vita dell’impresa è infatti più alta di quello che si può immaginare” ed insieme a lui altri esponenti di associazioni di categoria.
Bonanni, segretario generale CISL, ha ribadito a più riprese che il nostro Paese per poter competere sui mercati internazionali deve elevare la qualità complessiva dei prodotti e dei servizi e che tale obiettivo è perseguibile, tra l’altro, riconoscendo “ai lavoratori un eguale protagonismo nelle scelte generali e particolari, in uno spirito di co-responsabilizzazione”.
.
Pare confortata dai fatti l’esistenza di un profondo senso di appartenenza e di fidelizzazione all’azienda da parte dei collaboratori. Se è così non si vede perché non si debba giungere alla formalizzazione di quanto avviene nella realtà, con strumenti legislativi che sanciscano l’attuazione dell’art. 46 della Costituzione nelle forme che l’autonomia contrattuale delle parti sociali concorderanno.
A questo percorso viene contrapposto l’argomento delle difficoltà economiche e finanziare attraversato dal nostro Paese. Argomento debole e miope. Debole perché è proprio nei momenti difficili che un Paese reagisce con decisioni forti e incisive per il futuro dei propri figli, miope perché solo una forte coesione sociale all’interno delle aziende e del Paese consentirà all’Italia di attraversare il guado verso la ripresa economica ed occupazionale.
.
Senza lavoro non si producono utili, non si produce occupazione, non si produce partecipazione. C’è da chiedersi quanto le nostre aziende, quanto i nostri artigiani, commercianti ed imprenditori che vorrebbero creare utili, non sono posti nelle possibilità di riuscirci: non per mancanza di capacità, intelligenza, impegno ma per indisponibilità di linee di credito bancario, di cattive politiche sul territorio, di farraginosità amministrative, di ritardi nei pagamenti (anche da parte della Pubblica Amministrazione).
Molta parte del bandolo è nelle mani di governa, a livello centrale ed a livello locale. E non è lecito il gioco dello scaricabarile: non lo è mai, men che meno nella situazione in cui sta scivolando il Paese. Immaginare che qualora tanta parte del sistema bancario italiano continui a privilegiare le operazioni finanziarie, si possa intervenire con strumenti creditizi nella disponibilità dello Stato quali Poste Italiane o la Cassa Depositi e Prestiti non deve essere considerato blasfemo così come disporre che la P.A. amministrazione onori i propri debiti in tempi certi e ravvicinati, prevedendo sanzioni a carico dei dipendenti pubblici che “si coccolano” gli ordinativi di pagamento sulle scrivanie. Evidentemente l’elenco degli interventi possibili ed auspicabili non è terminato. Ciò che mi preme affermare è che gli interventi di sostegno sono indispensabili: poi gli imprenditori, gli artigiani, i commercianti – e di converso i liberi professionisti – il lavoro sapranno realizzarlo, insieme allo sviluppo delle proprie attività, l’incremento dell’occupazione e la compartecipazione dei lavoratori.
.
Tutto questo ha un nome: solidarietà. E l’Italia ne ha proprio bisogno.

sabato 26 settembre 2009

GENOVA. BUCHI NEL BILANCIO COMUNALE ?

Spesso si è portati a valutare una Giunta che amministra un Ente Locale con i paraocchi del pre-giudizio politico; forse è più corretto e giusto esprimere le proprie valutazioni sulla base dell’azione amministrativa svolta e dei risultati conseguiti.
Tutti sanno che ho sempre valutato negativamente, proprio per un mio pre-giudizio politico, le Giunte di centrosinistra (senza trattino) che da anni amministrano il Comune di Genova.
Tuttavia capisco che è giusto operare in altro modo ed allora esamino l’azione amministrativa delle Giunte di centrosinistra partendo dal un dato che ritengo fondamentale per esprimere un giudizio: la gestione economico-finanziaria.
.
Abbiamo, tutti, sotto gli occhi le dichiarazioni rese alla stampa dalla sindaco Vincenzi e dal suo vice Pissarello circa gli effetti della gestione economica-finanziaria delle Società partecipate dal Comune di Genova i cui amministratori sono nominati – per legge – dal sindaco, nonché gli esiti disastrosi della costituzione dell’AMI (bad company “inventata” dal Comune di Genova per cedere il 60 % di AMT ad un privato, operazione curiosa che ricorda quella compiuta per l’Alitalia), che sin dalla sua costituzione è sempre stata in pesante passivo. Ma poi vi è la vicenda di Sportingenova altra azienda in perenne dissesto finanziario, quella della SPIM in sofferenza per l’acquisto di derivato “tossico”.
Tutte vicende venute alla luce, poco prima che la Corte dei Conti rivelasse lo stato comatoso di queste aziende e sottolineasse come l’AMT sia condizionata dalle vicende AMI in maniera tale da mettere a rischio il proprio bilancio.
.
Si potrebbe osservare che sono tutte vicende che ineriscono aziende partecipate dal Comune e non il Comune in quanto tale. Distinzione bizantina, in quanto esiste comunque una “responsabilità politica” della Giunta (e delle maggioranze che l’hanno sostenuta) per le scelte compiute al momento della costituzione di queste Aziende, per la scelta dei loro amministratori e per la mancata vigilanza sulle stesse. Ma quel che è peggio è la ricaduta di tali dissesti sui bilanci del Comune che, in qualche maniera ne saranno intaccati. E la sindaco Vincenzi ha già adombrato – chissà se ne ha parlato in Giunta e con la sua maggioranza ? E chissà se si degnerà di investirne il Consiglio Comunale cui spetta approvare il bilancio ? - che saranno necessari interventi che riguarderanno i servizi resi dal Comune e dalle stesse aziende alla cittadinanza genovese. Comunque viene ipotizzato un periodo temprale di dieci anni per rientrare economicamente da questa situazione.
.
Di fronte a questo fallimento della gestione economico-finanziaria credo sia lecito esprimere una valutazione negativa delle giunte di centrosinistra che si sono succedute nell’amministrazione del Comune di Genova nel corso degli ultimi 25 anni e delle maggioranze che le hanno sostenute.
.
Per carità di patria non tocco la questione “mensopoli” su cui si dovrà pronunciare la magistratura ma che, verosimilmente, ha inciso negativamente nella gestione del bilancio comunale.
.
Pertanto, senza alcun pre-giudizio politico, credo sia lecito ritenere opportuno che:

  1. la Giunta Vincenzi (e la sua maggioranza) vada a casa il più presto possibile per il bene della comunità genovese, evitando qualsivoglia “puntellamento” della stessa;
  2. le future alleanze che dovranno amministrare Genova non comprendano il PD, l’IDV e le altre forze minori che hanno composto sinora le maggioranze di centrosinistra;
  3. l’UDC traguardi, per il futuro di questa città, dei compagni di viaggi diversi da quelli che hanno sino amministrato il Comune di Genova: i programmi sono importanti e debbono essere condivisi, ma la capacità gestionale dei Sindaco e dei suoi assessori deve essere provata e non può essere un assegno in bianco.






domenica 13 settembre 2009

AI LAVORATORI PARTE DEGLI UTILI DI IMPRESA

.
Nel corso del suo intervento al 30° Meeting di Rimini, il ministro Giulio Tremonti ha lanciato l’idea di rendere possibile, per i lavoratori, la partecipazione agli utili dell'azienda della quale sono dipendenti.
Posta lì, nel corso di un’estate in cui i si discute, in termini sempre più affannati, di come far uscire positivamente il “sistema-Italia” dagli esiti della crisi economica e finanziaria il nostro Paese, la proposta ha suscitato attenzione e qualche entusiasmo.
.
Benché molti fanno mostra di essere trasecolati per l’idea del Ministro, occorre rimarcare che quel principio è sancito dalla Costituzione che, all’art. 46, recita : “ Ai fini della elevazione economica e sociale del lavoro, ed in armonia con le esigenze della produzione, la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende”.
Gli atti della Costituente fanno memoria dell’ampia discussione svoltasi per introdurre nel testo costituzionale il principio della partecipazione dei lavoratori alla sorti dell’azienda. Si parlò di “consigli di gestione” da affiancare al “consiglio d’amministrazione”, di inserimento di alcuni dipendenti nel “consiglio di amministrazione”, di “azionariato” dei dipendenti, di “divisione degli utili” aziendali.
In seno alla 3^ Sottocommissione, l’on. Amintore Fanfani (DC) presentò una relazione, molto documentata ed articolata, che prevedeva quali opzioni possibili la partecipazione dei lavoratori alla gestione, alla proprietà ed agli utili delle imprese; i componenti della Sottocommissione optarono, a maggioranza, per la collaborazione dei lavoratori alla gestione delle aziende, rimandando ad una legge ordinaria i modi ed i limiti dell’esercizio di tale diritto.
Il principio della collaborazione alla gestione dell’azienda – che con termini attuali potremmo chiamare governance – rimase; va ascritto a merito della DC (onorevoli Gronchi, Pastore, Storchi e Fanfani) la formulazione definitiva dell’articolo approvato dall’Assemblea Costituente nel corso della seduta del 14 maggio 1947. L’on. Gronchi – che sarebbe divenuto più tardi Presidente della Repubblica Italiana – nel suo intervento volle rimarcare la volontà della DC di riconoscere la “preminenza del lavoro”, sì da elevarlo alla dignità di collaboratore della produzione e non mantenerlo relegato a quella di strumento della stessa.
.
La cultura politica, prima ancora che sindacale, che aveva sostenuto ed ispirato i cattolici presenti all’Assemblea Costituente si rifaceva ai principi della Dottrina Sociale della Chiesa che - sin dalla Rerum Novarum di Leone XIII - ha sempre considerato il lavoro una componente essenziale della produzione. Principio che sarà sempre ribadito dalla Chiesa.
Giovanni Paolo II ha usato un’espressione netta: “priorità del lavoro nei confronti del capitale” (punto 12, Laborem Exercens). Non solo. Ha sottolineato come l’azienda non possa essere considerata solamente una «società di capitali», ma sia anche una «società di persone», ove le persone sono chiamate a fruire di spazi di partecipazione nella vita dell’azienda (punto 43, Centesimus Annus) ed ha invitato i fedeli laici a far diventare il luogo del lavoro una comunità di persone rispettate nella loro soggettività e nel loro diritto alla partecipazione (punto 43, Christifideles laici)
.
C’è da chiedersi come mai un articolo della Costituzione, sostenuto da un largo consenso politico e da una profonda cultura sociale ed economica, sia rimasto sinora disatteso. Probabilmente il fatto che nell’industria una larga parte dei lavoratori fosse influenzata dal partito comunista e dalla CGIL, e quindi il timore che venissero prospettate soluzioni economiche e sociali di tipo sovietico, radicalmente diverse da quelle dell’economia di mercato, ha “congelato” l’art. 46 della Costituzione. Tuttavia dopo la fine del blocco sovietico, dell’Internazionale comunista e del PCI, quei timori non sono più giustificati e si dovrebbe dar corso a questo importante principio costituzionale.
.
Nel prendere atto che il Ministro Tremonti ha riproposto il tema della partecipazione dei lavoratori alle sorti dell’azienda, occorre notare che vi uno scostamento sensibile dalla previsione costituzionale laddove non si fa alcun cenno alla compartecipazione agli utili dell’impresa, ma si fissa - in maniera ferma - la loro collaborazione alla governance dell’azienda.
E pur vero che sono trascorsi decenni dalla formulazione della Costituzione e tale previsione può essere reinterpretata, salvando il principio del coinvolgimento dei lavoratori alla vita dell’azienda in cui prestano la loro opera, anche alla luce delle esperienze maturate in altri Paesi occidentali, ma non pare del tutto opportuno e possibile ignorare completamente l’art. 46 della Costituzione. Peraltro la sempre maggior presenza di “fondi di investimento” nella compagine azionaria delle aziende pone qualche problema circa i criteri di “governance” perseguiti. E’ noto che i “fondi di investimento” perseguono la logica della remunerazione a breve termine degli investimenti effettuati e non quella della strategia aziendale a medio e lungo termine, con conseguenti ricadute positive sull’occupazione del territorio ove l’azienda è insediata: una strategia del “mordi e fuggi” che non può essere assolutamente condivisa.

Non a caso la CISL, nel porre l’esigenza che la materia – pur disciplinata da una legge quadro – sia affidata alla libera contrattazione fra le parti sociali , ha affermato come “serva una nuova governance che preveda da una parte la partecipazione dei lavoratori ai processi decisionali e di controllo delle aziende e, dall’altra, sul fronte dell’ingresso nel capitale azionario, incentivi fiscali per l’aggregazione del capitale frazionato fra i lavoratori per una reale rappresentanza”. Su analoghe posizioni si trovano l’UGL la UIL.

In questo quadro normativo e propositivo, appare sfasata la posizione della Confindustria che con Marcegaglia e Bombassei ha espresso la propria contrarietà alla cogestione e si è resa disponibile ad esaminare la “l’aumento degli stipendi legato all’aumento della produttività”. Posizione sfasata, perché la Costituzione parla di collaborazione (non cogestione) alla gestione delle aziende e l’attuale dibattito è centrato sulla compartecipazione agli utili ( non all’aumento degli stipendi).
.
Nell’elaborazione della legge ordinaria di applicazione dell’art. 46 della Costituzione si dovrà tenere conto delle diverse realtà aziendali (dimensioni, comparto, quotazione in borsa, servizi pubblici, tipologia della proprietà ecc.). Non paiono possibili norme uniformi, a fronte della notevole disomogeneità delle aziende. La “contrattazione di secondo livello” può e deve costituire un’utile strumento applicativo della norma.
.
Tremonti ha lanciato il classico sasso in piccionaia, una piccionaia un po’ bolsa ed addormentata sui temi della democrazia economica. Al Parlamento ed alla parti sociali il compito di raccogliere questo sasso e stabilire le modalità, i menù, i diversi modi con cui promuovere l’attuazione del dettato costituzionale. Si eviterà, così. l’ennesimo “effetto annuncio” che da quasi quindici anni inquina la “buona politica”.

domenica 9 agosto 2009

NUOVO STADIO A GENOVA Sestri Ponente ?



La più “nera speculazione edilizia” che interessa la nostra città e cioè la proposta di costruire il nuovo stadio a Sestri Ponente è sempre all'ordine del giorno.

Il periodo ferragostano non è uno dei più propizi per questi argomenti, ma è necessario non abbassare la guardia a fronte del rischio che corre il nostro territorio.
Oggi, sul Secolo XIX, è stato riportato il parere ufficioso di un dirigente ENAC che ritiene incompatibile il nuovo stadio con l’aeroporto, anche alla luce del piano industriale di sviluppo del Cristoforo Colombo. Si tratta di una parere ovvio e prevedibile, anche se ancora ufficioso.

Ciò che colpisce, in questa vicenda, è la totale assenza del governo del territorio da parte della Sindaco Marta Vincenzi e della sua maggioranza di centrosinistra (senza trattino). E’ noto che l’unico atto politico compiuto al riguardo è stato quello di una informativa alla Giunta Comunale che ha invitato il Sindaco ad approfondire la questione.

Credo che l’ipotesi di costruire una grande opera di natura sportiva e commerciale interessi in sommo grado l’urbanistica, i servizi commerciali, la viabilità ed il futuro sviluppo della città. E questo indipendentemente dalla sua collocazione. A maggior ragione se questa’opera viene realizzata su aree demaniali destinate allo sviluppo dell’aeroporto della città, sviluppo che è strettamente legato all’idea di città che dovrebbe essere ben presente in chi governa il Comune.

La Sindaco Vincenzi e la sua maggioranza di centrosinistra non hanno espresso alcuna valutazione sulla proposta di Garrone-Preziosi e c’è da ritenere che se non vi fosse il diniego dell’ENAC, tale proposta sarebbe accolta. Questa mia opinione è rafforzata dalla dichiarazione, anch’essa pubblicata su “Il Secolo XIX” odierno, che qualora non vi sia una risposta positiva dell’ENAC entro 50 giorni, il progetto non sarà preso in considerazione.

Insomma una questione che riguarda la gestione del territorio ed i servizi commerciali è delegata a terzi, anziché essere assunta in prima persona dal Comune di Genova.

Il giudizio politico che ne deriva è veramente impietoso: una Sindaco ed una maggioranza di centrosinistra – smandruppata – che vivono di rimessa sui grandi problemi della città. Così è stato per il drammatico problema della “gronda autostradale”, così è stato per la riqualificazione del Lido e del litorale del Municipio del Medio-Levante, così è stato per la chiusura della Galleria Monte Galletto dell’A7 e così è per il progetto Garrone-Preziosi-Giacomazzi dello stadio
.

giovedì 23 luglio 2009

BURLANDO: basta far numero.......per le regionali 2010

Il candidato presidente del PD-IdV ed altri per la presidenza della Regione Liguria, Claudio Bulrlando (PD) oggi - nell’area del Consorzio Pianacci al CEP di Prà - ha tenuto a battesimo la propria Lista civica sostenuta anche da Roberto Hamza Piccardo, già portavoce nazionale dell’Ucoi (Unione delle Comunità islamiche). Il capolista dott. Besana ha dichiarato che “In questa comunità c’è molto forte la presenza islamica per cui mi sento di dire che oggi si candida anche la comunità islamica”.

Già in altre occasioni – non ultima il convegno svoltosi sabato 18 luglio alla Guardia – avevo illustrato le motivazioni per cui era necessario, per il bene della Liguria, mandare a casa la Giunta Burlando e, conseguente, l’UDC ligure non poteva che operare in tal senso in previsione delle prossime elezioni regionali del 2010.

Questa lista civica con i suoi supporters, conferma, a maggior ragione, la necessità che l’UDC ligure sia “altrove” rispetto all’alleanza che sosterrà Burlando nella sua corsa verso la presidenza della Regione Liguria.
Non solo. Occorre operare perché questo “altrove” sia sufficientemente forte per vincere le elezioni regionali ed assicurare l’allontanamento di Burlando e Co. dal governo della Regione Liguria.

domenica 5 luglio 2009

UDC: sì al modello regionale



Carissimi, mi è parso utile rilanciare il testo della lettera pubblicata sul “Corriere della sera” odierno. Al di là di tante fumisterie, chiarisce il modo di porsi dell’UDC a livello locale e regionale.
Per quanto riguarda la Liguria ho già espresso il mio pensiero recentemente. Ma vi tornerò sopra perché – a questo punto sarà oggetto di discussione a livello degli organi regionali dell’UDC e degli elettori.
^^^^^^^^^^^^^^
LA LETTERA
Casini e D’Onofrio:
Udc, sì al modello regionale
Caro direttore,
soltanto un riflesso condizionato, per un verso di vecchia politica e per altro verso di supponenza bipartitica, ha fatto affermare che l’Udc ha scelto in riferimento alle amministrazioni comunali e provinciali per le quali si è votato lo scorso giugno un atteggiamento di «doppio forno». Non ci meravigliamo per il fatto che questo giudizio sia stato usato nei confronti della scelta politica dell’Udc, che invece è stata ancorata ad una vera e propria strategia culturale fortemente innovativa proprio rispetto a quelle abitudini della vecchia politica, che ora si sono rivestite con questa nuova arroganza bipartitica. L’Unione di Centro — che ha dato vita significativamente ad una Costituente di Centro — si è mossa invece nel solco di una rigorosa coerenza politica con l’ispirazione sturziana che è posta a fondamento della propria rinnovata caratterizzazione di partito liberal-popolare, innovatore anche e soprattutto nel rapporto tra politica nazionale e politica locale.
Si fa infatti un gran parlare di trasformazione dell’Italia in senso federalistico ma sembra che non si sia ancora seriamente ragionato sulle conseguenze che questa trasformazione comporta per l’essere e l’operare anzitutto dei partiti politici. Un partito di centro come quello che l’Udc sta costruendo ha certamente nella definizione della propria identità un punto ineludibile di chiarezza, ma esso desidera allo stesso tempo essere rilevante per le scelte di governo, locali, regionali o nazionali che siano. Identità e cultura di governo sono pertanto a nostro giudizio entrambi essenziali ed è per questa ragione che critichiamo aspramente quanti affermano che il nostro comportamento è stato tipico di un partito che, se avesse scelto il doppio forno, avrebbe oscillato comunque e sempre in vista del conseguimento di posizione di potere, al contrario di quanto ha dimostrato nei fatti proprio l’Unione di Centro. Altro che doppio forno! Oltretutto facciamo fatica ad accettare lezioni di coerenza da chi, come il Pdl, ha sposato una doppia morale: condanna i ribaltoni (giustamente!) ai danni degli elettori e li pratica con disinvoltura quando li ritiene convenienti, come è accaduto in Sicilia la settimana scorsa.
.

In conclusione, abbiamo ritenuto, riteniamo e riterremo che gli organi locali e regionali del partito debbano scegliere le alleanze di governo sulla base dei programmi che si intende realizzare in sede locale e regionale, in evidente coerenza con l'identità di fondo che l’Unione di Centro ha ripetutamente affermato essere l’identità tipica di un partito liberal-popolare di centro. «La vita regionale è vita locale nello spirito unitario»: così si esprimeva Luigi Sturzo nel volume «La regione nella nazione» pubblicato a Bologna nel 1949, all’indomani della Costituzione repubblicana vigente che aveva fatto proprie gran parte delle intuizioni e delle proposte dallo stesso Sturzo formulate all'inizio del ’900, consolidate all'atto della nascita del Partito Popolare Italiano e rese persino determinanti nella sua Relazione al 3˚Congresso del Partito Popolare Italiano che si svolse al Venezia nel 1921 e che Sturzo volle incentrare proprio sul tema del regionalismo. Partito liberal-popolare di programma con forte vocazione territoriale e quindi — a nostro giudizio — coerentemente orientato a consentire alle organizzazioni locali del partito la scelta delle alleanze di governo ritenute le più idonee per il bene comune delle comunità locali. Pier Ferdinando Casini
Francesco D'Onofrio

05 luglio 2009

domenica 14 giugno 2009

Ballottaggi amministrative ed elezioni Regionali Liguria

I quotidiani odierni riportano, con enfasi, come in tanti comuni ed in tante province in cui si svolgerà il ballottaggio di domenica 21 giugno l’UDC locale ha scelto una qualche forma di apparentamento o sostegno esterno al candidato del PD.
Ovunque – anche nei casi in cui v’è stata una scelta di apparentamento con il PdL si sottolinea come queste scelte non condizioneranno in alcun modo le scelte per le elezioni regionali del 2010. Questo può essere e fa parte della logica comportamentale dei partiti che per le elezioni delle amministrative non sono legati a scelte di schieramento nazionale.
.
A me pare, nel caso delle scelta verso il PD, una foglia di fico.

Se poi, tutto ciò vuole essere una risposta all’alterigia del PdL che utilizza l’UDC con la logica dei “due forni” (dove serve ci si allea, dove non serve la si manda a quel paese), alla chiusura della Lega Nord che rifiuta - per principio – qualsiasi alleanza con l’UDC, allora si può cercare di comprendere le scelte degli amici che in sede locale hanno scelto il centrosinistra.

Comprendere non vuol dire condividere.

Ma veniamo alla nostra Liguria.

Esiste la necessità imprescindibile di cambiare la classe dirigente che ha governato la Liguria, classe – che salvo la parentesi Biasotti – ha fatto perno sul personale proveniente dall’ex-PCI (ancorché riciclato nell’attuale PD). Tutto ciò che concorre a questo risultato deve essere perseguito……. anche turandosi il naso.

L’UDC ha davanti a sé – in questo scenario che spero sia condiviso – due possibili scelte:
.
1. presentarsi con un proprio programma ed un proprio candidato presidente alla regionali; questa ipotesi fa parte delle testimonianze visto la messe di voti raccolti dall’UDC all’Europee; solo che la testimonianza in politica è necessaria, ma non è sufficiente....
2. costruire sin d’ora un’alleanza elettorale – salvaguardando il proprio simbolo come faranno altre formazioni – con tutti coloro che sono alternativi a Burlando (od altro candidato espresso dall’area PD e soci); alleanza elettorale basata su un credibile programma che risolva i problemi incancreniti di questa regione.

Qualsiasi ipotetico cambiamento degli attori (implosione del PD e simili) non debbono far deflettere dall’esigenza primaria di “mandare a casa la classe politica che ha amministrato – male – la nostra regione”.
.
Infine, è necessario smetterla di trastullarsi con la "questione" Berlusconi.
.
A noi dell'UDC tale questione non deve, nè può interessare. A noi spetta costruire - partendo dal manifesto di Todi - un programma credibile per amministrare la nostra Regione insieme a tutti coloro che sono alternativi all'attuale maggioranza che governa la Liguria.

venerdì 5 giugno 2009

Da Torvajanica a Villa Certosa

Nel lontano 1953 il vicesegretario della DC, Attilio Piccioni, ritenne opportuno dimettersi dall’incarico allorché i mass-media e le indagini giudiziarie associarono il nome del figlio Piero Piccioni alla morte di Vilma Montesi verificatasi durante un festino sulla spiaggia di Torvaianica.
.
A Villa Certosa, stando alle foto pubblicate su El Pais (www.elpais.com), non si sono certo recitati rosari e giaculatorie. La sensibilità in questi 50 anni è cambiata. Ma che in casa del Presidente del Consiglio si ci possa comportare – e quindi con il padrone di casa consenziente – in maniera moralmente dubbia fa somigliare queste “feste” ai “festini” di Torvaianica (salvo la tragedia della morte).
Non so se Fellini abbia tratto spunto da quell’episodio, ma sicuramente quanto narrato nella “Dolce Vita” è uno specchio fedele di tali “festini” e dell’amoralità che vi regnava…e vi regna.
.
Credo che la tenzone politica sia fatta di proposte e di realizzazioni e quindi non mi appassionano i “gossip” utilizzati per la lotta politica, ma devo riconoscere che la statura politica e la sensibilità di Attilio Piccioni (peraltro estraneo alla vicenda di Torvaianica) risulta ingigantita al confronto con quella di Silvio Berlusconi che non solo tollera, ma organizza questo tipo di feste.

Tutto ciò non c’entra con le prossime elezioni europee ed amministrative, ma una riflessione su tali fatti è doveroso compierla.

domenica 24 maggio 2009

Fermare la deriva populista di Berlusconi

La sovrana leggerezza con cui il Presidente del Consiglio parla di temi costituzionalmente rilevanti non deve sconcertare: quello della leggerezza è un metodo. Singolare, ma è pur sempre un metodo, quasi subliminare, che induce l'opinione pubblica a considerare positive ed altamente apprezzabili i contenuti delle esternazioni "ilari" di Berlusconi, sino a tradurle in opinioni positive nei sondaggi che, poco dopo, vengono commissionati e resi pubblici. Si ottiene così il risultato di dimostrare che il popolo sovrano vuole esattamente quello che con estrema vacuità ha dichiarato nei giorni precedenti Berlusconi.Un metodo che opportunamente utilizzato rende il Parlamento, costituzionalmente espressione della sovranità popolare, un organismo inutile per la gente del nostro Paese.
.
La proposta di ridurre il numero dei parlamentari - peraltro già indicato nel "Piano di rinascita democratica" della Loggia P2 di Licio Gelli - non suffragata da alcun atto propositivo si inserisce in questo metodo. Poi la correzione di rotta - anche questo un classico di Berlusconi - con l'ipotesi di predisporre una proposta di legge di iniziativa popolare per la riduzione del numero dei parlamentari. Quale utilità se non quella di delegittimare il Parlamento ?
.
Dovrebbe essere noto che la revisione del numero dei parlamentari - attualmente stabilito dagli articoli 56 e 57 della Costituzione - si ottiene con legge costituzionale la cui approvazione segue l'iter previsto dall'art 138 della stessa Costituzione.
.
Il PdL ha tutti i numeri in Parlamento per predisporre un disegno di legge di iniziativa parlamentare in tal senso ed approvarlo, magari col consenso del PD che condivide l'ipotesi di riduzione dei parlamentari.
.
Non seguire la strada maestra, ma appellarsi all'iniziativa popolare ha solo il senso di instillare nell'opinione pubblica la convinzione che il Parlamento è inutile, non compie il proprio dovere, non ha il polso della volontà del popolo.Un metodo sottile e pernicioso che colpisce al cuore il "sistema del bilanciamento dei poteri" dello Stato su cui è basata ogni sana democrazia.
.
Berlusconi ha ben chiaro l'obiettivo (ma anche il "Piano di rinascita democratica" aveva chiari gli obiettivi....): un esecutivo incentrato sulla figura del Capo, che risponde direttamente al popolo (che non ha più alcuna rappresentanza condizionante l'escutivo) e che si esprime con i sondaggi e le manifestazioni di piazza. Tecnicamente è un sistema "populista": già visto con Peron e con Chavez.
.
Il primo passo per fermare questa deriva populista è quello di far fallire il referendum del 14 giugno.
.
Domenica 14 giugno 2009, TUTTI AL MARE !


lunedì 4 maggio 2009

NON DISTURBARE IL MANOVRATORE

.
Il mese, appena trascorso, è stato caratterizzato - sotto il profilo politico – dal continuo battibecco tra Franceschini e Berlusconi su questioni futili, buone per riempire di sé le prime pagine dei giornali.
Non importa il terremoto negli Abruzzi, la crisi finanziaria, il costo della vita, il riassestamento dei poteri forti… No, ciò che conta è conoscere le battute del teatrino della politica in cui due capicomici si azzuffano per il piacere dei mass-media che, in queste battute ci inzuppano il pane e ne vivisezionano le parole.
Tutto ciò pare fatto apposta per stornare l’attenzione della gente dallo svilimento della democrazia italiana che si vuole (forse si sta per …) ridurre a questione di pochi: appunto dei due capicomici.
..
Così è passata, quasi del tutto inosservato il significato politico di una bega sollevata da Franceschini circa la proposta di legge, presentata da un oscuro deputato del PdL, tesa ad equiparare gli appartenenti alle milizie armate dalla Repubblica di Salò – i cosiddetti repubblichini – ai partigiani inquadrati nel Corpo Volontari della Libertà.
.
Per non essere frainteso dico subito che non considero opportuna, né giustificata questa equiparazione comunque la si voglia giustificare.
..
Ma veniamo alla questione innescata da Franceschini. Il Segretario del PD ha sfidato Berlusconi a ritirare questa proposta di legge, confidando che tale richiesta sarebbe stata respinta al mittente sì da portare a casa un risultato di immagine utile per consolidare la sua traballante posizione alla guida del Partito Democratico. Non ha tenuto conto, però, della consumata abilità di Berlusconi di trarre partito dalle debolezze altrui: infatti, il Cavaliere ha colto la palla al balzo ed ha garantito che di quella proposta di legge non se ne sarebbe fatto niente. Il Cavaliere ha consolidato l’unità antifascista: 1a 0 per Berlusconi.
.
Guardando la questione senza le lenti deformate del teatrino della politica, si è assistito ad una bella spallata al sistema costituzionale italiano realizzata dal duo Franceschini-Berlusconi: avversari di facciata, ma nella sostanza coesi nel picconare la democrazia del nostro Paese.

Anche i ragazzini delle medie – perlomeno quelli che studiano i contenuti della Costituzione Italiana – sanno che ogni parlamentare è libero di presentare qualsiasi proposta di legge senza il previo consenso del suo Capogruppo, né del Segretario Politico del proprio Partito.
Gli stessi ragazzini sanno che spetta al Parlamento, attraverso gli strumenti previsti dai Regolamenti di Camera e Senato, esaminare ed esprimersi sulle proposte di legge presentata da un Deputato o da un Senatore.
In altri termini, nessuno – salvo il firmatario – può ritirare la proposta di legge e nessun parlamentare può essere costretto a ritirare una proposta di legge. Anzi, in dottrina si discute se sia lecito ritirare una proposta di legge una volta che la stessa abbia iniziato il suo iter parlamentare.

Richiedere, come ha fatto Franceschini, al Presidente del Consiglio e “leader” del PdL di ritirare una proposta di legge presentata da un deputato e, di converso, sentire Berlusconi assentire a questa richiesta evidenza o una mancata conoscenza della Costituzione (fatto altamente improbabile) o la volontà di non tenere in alcun conto la Costituzione Italiana (fatto altamente probabile).

Entrambi hanno agito come se i parlamentari fossero automi, chiamati ad alzare la mano a comando del proprio “leader”. Ma la Costituzione italiana dice :«Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato».
Sia Franceschini, sia Berlusconi sono portatori di una visione politica tesa a comprimere la sovranità del Parlamento, considerato un ostacolo alle volontà del Governo, di qualsiasi Governo. Non a caso è stato teorizzato – sia pure a livello di battuta (ma a volte le battute nascondono tremende verità) come sia sufficiente far votare i Capigruppo… Non a caso si sono schierati a favore dell’abrogazione dell’attuale legge elettorale che consentirebbe – se vincesse il partito del SI (o se il si dovesse raggiungerebbe il quorum del 50% + 1 dei partecipanti al referendum) – ad un partito che raccogliesse il 25% dei suffragi elettorali di far eleggere il 51 % dei parlamentari.

Tutto torna e, come si trovava scritto sui tramways, l’importante e “Non disturbare il manovratore”…perché Lui sa cosa fare !
Ma questa logica, che vede coesi e sottobraccio marciare Franceschini e Berlusconi, è ben diversa da quanto sta scritto nella Costituzione Italiana e da quanto prevede un sistema democratico. Almeno come lo si intende nei Paesi occidentali.

martedì 31 marzo 2009

CRISTOBAL COLON Y HUGO CHAVEZ

Adesso, secondo il Presidente venezuelano Chavez, dovremmo vergognarci che Cristoforo Colombo sia approdato il 12 ottobre 1492 in un'isola dei Caraibi ed abbia stabilito un rapporto duraturo fra l'Europa e le Indie Occidentali, rapporto ben più duraturo di quello stabilito dai vichingi che arruiverano in Gienlandia e nel Labrador o dagli asiatici che sbarcarono in Alaska. Entrambi in periodi storici ben antecedenti a quelli di Colombo. E così non solo ha ribattezzato, sin dal 2002, il 12 ottobre come Giornata della resistenza indigena, ma ha applaudito alla decisione di rimouovere la statua di Cristoforo Colombo (vedi foto) dai giardini di un parco di Caracas. Visto che non c'è Paese caraibico di matrice ispanica che non abbia la sua brava statua di Colombo - io personalmente ricordo quella bellissima che si trova a San Juan de Puerto Rico - c 'è da aspettarsi l'abbattimento di tutte le statue di Colombo nei paesi che si ispirano al revisionsimo nazionalmarxista di Chavez. Genova si affretti a richiedere quanto resta delle spoglie mortali di Colombo che sono ancora custodite a Santo Domingo e, visto l'aria che tira nella Spagna di Zapatero, recuperiamo anche la parte dei resti che si trovano a Siviglia.


Ma ecco l'articolo pubblicato sul quotidiano venezualeno "EL NACIONAL" del 27 marzo 2009.


Chávez aplaude remoción de estatua de Colón en El Calvario. El presidente Hugo Chávez aplaudió la remoción de una estatua centenaria de Cristóbal Colón, a quien el gobernante ha calificado en el pasado como "el jefe del genocidio más grande que se recuerde en la historia". La estatua del descubridor de América, tenía un lugar destacado en el ahora resquebrajado e inseguro parque capitalino de El Calvario, en una colina cercana al palacio de gobierno. "Hay que aplaudir al alcalde por esa decisión. ¡Qué va a estar Colón ahí! Cristóbal Colón fue el jefe de la invasión que produjo un genocidio", dijo Chávez en un acto transmitido a la nación por radio y televisión. La estatua, instalada en ese parque desde 1898, fue retirada por disposición del alcalde Jorge Rodríguez como parte de un nuevo anuncio de restauración del deteriorado parque. Chávez sugirió que "ahí donde estaba Colón, hay que poner un indio o una india, señalando el rumbo de la liberación de los pueblos, el rumbo del socialismo". El 2002, Chávez decretó que el 12 de octubre, el "Día de la Raza", fuese rebautizado "Día de la Resistencia Indígena".

domenica 15 febbraio 2009

SAUDI ARABIA. Girl gets a year in a jail, 100 lashes for adultery

Sui giornali odierni era possibile leggere la notizia, riportata con una certa enfasi, che una donna è entrata a far parte del Governo dell'Arabia Saudita.
Ma la reale condizione della donna in Arabia Saudita è fotografata dalla sentenza emessa da un giudice di Jeddah che ha condannato ad un anno di progione ed a cento frustate una donna violentata da un branco. Secondo il giudice la donna è colpevole di adulterio e di aver accettato un passaggio in macchina da uno sconosciuto. In seguito allo stupro è rimasta incinta e continuerà la gravidanza in carcere. Le cento frustate verranno scontate dopo la nascita del bambino.
La notizia è stata pubblicata sul giornale saudita Saudi Gazette dell'8 febbraio 2009 il cui testo riporto per intero:
Girl gets a year in jail, 100 lashes for adultery
By Adnan Shabrawi
JEDDAH – A 23-year-old unmarried woman was awarded one-year prison term and 100 lashes for committing adultery and trying to abort the resultant fetus.
The District Court in Jeddah pronounced the verdict on Saturday after the girl confessed that she had a forced sexual intercourse with a man who had offered her a ride. The man, the girl confessed, took her to a rest house, east of Jeddah, where he and four of friends assaulted her all night long. The girl claimed that she became pregnant soon after and went to King Fahd Hospital for Armed Forces in an attempt to carry out an abortion. She was eight weeks’ pregnant then, the hospital confirmed.According to the ruling, the woman will be sent to a jail outside Jeddah to spend her time and will be lashed after delivery of her baby who will take the mother’s last name.

lunedì 9 febbraio 2009

Il dottor Mengele non sparisce mai !

Alle elementari rimasi scandalizzato ed inorridito quando, studiando la storia, scopersi che gli spartani eliminavano fisicamente i bambini deformi, poi scopersi che tale pratica era in uso anche presso i romani. Mi dicevo roba da storia antica. Ahimé non era proprio così visto che i nazisti (ma l'idea fu la loro ?) istituzionalizzarono l'eliminazione del diverso e la creazione della pura razza ariana; i campi di sterminio erano speculari al Progetto Lebensborn. Poi scopersi che ONG finanziate da magnati USA operavano per diminuire la popolazione mondiale - specie nel Terzo mondo - facilitando l'aborto, l'eutanasia, la soppressione del diverso. Tali azioni erano accompagnate dallo studio per manipolare la vita sin dal suo concepimento con ricerche scientifiche ben dotate finanziariamente. La mia Europa, quella in cui credevo e speravo, è divenuta un mostro che attenta quotidianamente alla tutela della vita, ma mi garantisce le dimensioni delle carote!
E adesso, mi sento un rifugiato da catacombe, perchè tento di affermare la cultura della vita per tutti !
Ma non mi rassegno. Posso perdere una battaglia, ma la guerra riuscirò a vincerla.

mercoledì 28 gennaio 2009

UDC ED ELEZIONI AMMINISTRATIVE IN LIGURIA

Confinata in un trafiletto sul “Secolo XIX”, con maggior spazio sull’edizione genovese de “Il Giornale” oggi è stata data notizia dell’accordo intervenuto tra l’UDC, Lega Nord e Popolo delle Libertà, per costituire liste comuni in occasione delle prossime elezioni amministrative che si svolgeranno nei 48 comuni della Provincia di Genova. Sin dall’inizio delle trattative, questa mi è parsa una scelta coerente con la storia e la cultura politica dell'UDC e strategica sotto il profilo politico.
Qui in Provincia di Genova c’è l’esigenza di consolidare un sistema di alleanze alternativo al sistema di potere incentrato sulla sinistra, PD compreso. E questo sistema di alleanze deve trovare riscontro anche per le prossime elezioni regionali: rompere il sistema di potere della sinistra è un dato strategico.
Chi dovesse operare in diversa direzione compirebbe, a mio avviso, un errore politico sostanziale.
Spiace notare come, sull’altare di un ostracismo all’UDC che si sta manifestando nelle altre tre Province liguri, si corra il rischio di perdere tutti e riconsegnare la Liguria alla sinistra.Credo che ad Imperia, a Savona ed a La Spezia sia opportuno che la PdL superi questa posizione di sprezzante autosufficienza e ricerchi l’intesa con l’UDC sin dalle prossime elezioni amministrative.
Se questo è possibile in altre realtà italiane, non si comprende perché debba essere impossibile in Liguria.

sabato 17 gennaio 2009

A tutti gli uomini liberi e forti. 90 anni dopo



Sono passati 90 anni da quel 18 gennaio 1919 in cui la Commissione provvisoria del nascente Partito Popolare indirizzò l’Appello al Paese, meglio conosciuto come “appello a tutti gli uomini e forti”. La sapiente guida di don Luigi Sturzo aveva consentito alle varie espressioni del cattolicesimo italiano di dar vita ad una formazione partitica che, per la prima volta nella storia dell’Italia unita, vedeva i cattolici impegnati – insieme – nella partecipazione politica del Paese.

Fu una formazione partitica che, sia per le temperie del tempo sia per laica fedeltà nei confronti della gerarchia ecclesiastica, visse pochi anni; ma le persone e le idee rimasero sottotraccia durante il regime fascista e permisero la costituzione della Democrazia Cristiana. Da quell’esperienza trae origine il Codice di Camaldoli e le idee che, insieme a quelle di altre culture, diedero vita alla Costituzione repubblicana, alla ricostruzione del Paese ed alla salvaguardia della libertà e della democrazia.

Ricordare quell’appello, di cui riporto alcuni brani significativi, ci dia la capacità di reinterpretare la presenza politica dei cattolici italiani e tenga lontano da noi la mai sopita tentazione di ripiegarsi sul buon tempo andato.



APPELLO AL PAESE
“A tutti gli uomini liberi e forti, che in questa grave ora sentono alto il dovere di cooperare ai fini supremi della patria, senza pregiudizi né preconcetti, facciamo appello perché uniti insieme propugnino nella loro interezza gli ideali di giustizia e di libertà…
Ad uno stato accentratore tendente a limitare e regolare ogni potere organico e ogni attività civica e individuale, vogliamo sul terreno costituzionale sostituire uno stato veramente popolare, che riconosca i limiti della sua attività, rispetti i nuclei e gli organismi naturali – la famiglia, le classi, i comuni – che rispetti la personalità individuale e incoraggi le iniziative private……domandiamo la riforma dell’istituto parlamentare sulla base della rappresentanza proporzionale…; vogliamo la riforma della burocrazia e degli ordinamenti giudiziari, la semplificazione della legislazione, ilo riconoscimento delle classi, l’autonomia comunale, la riforma degli enti provinciali, e il più largo decentramento nelle unità regionali.
Ma sarebbero vane queste riforme senza il contenuto se non reclamassimo, come anima della nuova società, il vero senso di libertà rispondente alla maturità civile del nostro popolo e al più alto sviluppo delle sue energie:libertà religiosa…; libertà di insegnamento senza monopoli statali; libertà alle organizzazioni di classe…libertà comunale e locale…..
Ci presentiamo nella vita politica, con la nostra bandiera morale e sociale, ispirandoci ai saldi principi del cristianesimo che consacrò la grande missione civilizzatrice dell’Italia; missione che anche oggi, nel nuovo assetto dei popoli, deve rifulgere di fronte ai tentativi di nuovi imperialismi, …..
A tutti gli uomini moralmente liberi e socialmente evoluti, a quanti nell’amore della patria sanno congiungere il giusto senso dei diritti e degli interessi nazionali con una sano internazionalismo, a quanti apprezzano e rispettano le virtù morali del nostro popolo, a nome del partito popolare italiano facciamo appello e domandiamo l’adesione al nostro programma. Roma, 18 gennaio 1919”

lunedì 5 gennaio 2009

PALESTINE AND ISRAEL. PEACE !


Estrapolo da un articolo pubblicato da ASIA News il 30 dicembre 2008, a firma di Arieh Cohen
" I discorsi pubblici parlano molto spesso di “gestire il conflitto”, piuttosto che “risolvere il conflitto”. Le speranze dei più seri leader civili e militari in Israele – e altrove – sembrano concentrate a raggiungere un’altra – ovviamente temporanea – “tregua” con Hamas, invece che cambiare totalmente la situazione presente; si cerca di ristabilire “le regole del gioco”, piuttosto che di cambiare “il gioco” stesso.
Tutto ciò è veramente penoso.
Ritornare alla proposta della Lega Araba.
È ovvio, per ora Israele deve fare quel che deve fare (ma cosa esattamente?) per fermare gli attacchi quotidiani dei terroristi fanatici verso le città e i villaggi del sud. E dopo? L’ironia amara della situazione è che le basi per costruire la pace sono già presenti, se si facessero delle scelte fondamentali. L’iniziativa di pace della Lega Araba della primavera 2002, confermata di continuo fino ad oggi, può rafforzare in modo potente le basi della Conferenza di pace di Madrid del 1991 che, riconvocata o lanciata di nuovo, potrebbe mettere insieme la “scelta strategica” della Siria a un trattato di pace con Israele e l’accettazione della pace con Israele espressa da tanto tempo dall’Olp. Ciò porterebbe a edificare un nuovo Medio Oriente, un’area sicura e pacifica che isolerebbe il regime estremista in Iran e contribuirebbe a tenere lontano l' “internazionale terrorista” simbolizzato da Al Qaeda.Finché non sarà adottata un pista simile e perseguita con vigore fino alla conclusione, le previsioni sono piuttosto buie. E anche se può succedere di tutto (perfino qualcosa di buono), l’osservatore che guarda i mesi a venire è preso da cattivi presentimenti."
Fin qui l'articolo che, benchè "vecchio" di qualche giorno, individua con chiarezza la debolezza dell'agire delle Nazioni Unite, dell'Unione Europea (con la ridicola presenza sul campo di due delegazioni portatrici di proposte differenziate), della stessa Lega Araba (che conclude con un nulla di fatto la riunione d'emergenza al Cairo). Non si tratta di "gestire" l'ennesima crisi della regione, bensì di "risolvere" una situazione vecchia di sessant'anni e garantire la pace a Israele ed alla Palestina.
Una soluzione già individuata dalle Nazioni Unite quando approvarono nel 1948 la spartizione fra ebrei e palestinesi dell'ex Mandato britannico con la conseguente creazione di uno Stato palestinese e di una stato ebraico.
Contro quella decisione si scatenò la primaguerra arabo-israeliana con la conseguenza che lo Stato di Israele mantenne la sua esistenza e quello palestinese non si realizzò; in compenso l'Emirato di Transgiordania si appropriò della Cisgiordania e divenne il Regno hascemita di Giordania ed iniziò il fenomeno dei rifugiati palestinesi. Dimenticare questo dato essenziale dei Paesi arabi che furono - e rimasero negli anni - i veri responsbaili della situazione palestinesi significa non compiere un servizio alla verità.
Eppure è proprio ripartendo da lì, dalla decisione del 1947 delle Nazioni Unite - ripresa a Oslo, a Madrid, a Camp David in diverse e più articolate maniere - che si può "risolvere" la questione.
Uno Stato Palestinese, uno Stato israeliano che collaborano economicamente tra loro e garantiscono ai loro popoli un futuro di pace duratura

domenica 4 gennaio 2009

HAMAS AND TAMIL TIGER REBELS



In questi giorni l'esercito dello Sri Lanka ha conquistato una parte importante del territorio settentrionale dell'isola sinora controllato dai ribelli Tamil, ivi compresa quella che sinora era considerata la capitale dello stato ribelle Tamil.

Vi è una sorprendente analogia tra l'azione del governo dello Sri Lanka e quello di Israele. entrambi lottano contro dei terroristi che minacciano la vita e la pacifica convivenza delle popolazioni civili dei rispettivi Paesi.

Ma non vi è analogia nell'attenzione che viene posta a queste due azioni.

Nel caso di Israele si muove mezzo mondo quasi che dalla soluzione del conflitto, innescato sessant'anni fa dai Paesi arabi che non vollero accettare la decisione delle Nazioni Unite che prevedeva uno stato palestinese accanto ad uno stato israeliano, dipenda la pace nello scacchiere mediorientale ed i destini del mondo. Per non parlare delle solite manifestazioni e prese di posizioni della sinistra, uggiose e ripetitive.
Nel caso dello Sri Lanka e di tante altre situazioni analoghe, le diplomazie e gli organismi internazionali prendono atto che si tratta di azioni leggittime tese a contrastare il terrorismo o debellare ribelli all'ordine costituito.
Due pesi, due misure. Uno strabismo che può essere dettato solamente da a-priori ideologici.