lunedì 23 giugno 2008

NON SO SE POTRO' OBBEDIRE

Il giudice genovese Adriano Sansa, sull’edizione de “il Secolo XIX” di Sabato 21 giugno 2008, ha espresso un parere ed ha manifestato una presa di posizione sulla conversione in Legge, all’esame del Parlamento, riguardante l’emendamento al cosiddetto Decreto Sicurezza nella parte che prevede la sospensione dei processi penali.
Tralascio di commentare il parere espresso sul merito del provvedimento in quanto condivido le diverse opinioni negative al riguardo; peraltro credo che il gruppo UDC – stante le dichiarazioni sinora circolate – voterà contro questa norma.
Mi soffermo, invece, sulla presa di posizione in cui il giudice Sansa afferma che “Sta avvicinandosi il tempo in cui dovremo chiederci se obbedire o no alla legge, nel mio stesso tribunale come in tutti gli altri del Paese” e, conclude affermando “Non so se darò istruzioni di sospendere i processi piegando la testa all’abuso, non se se potrò obbedire”.

Francamente sono allibito e tremo al pensiero che ci siano magistrati che immaginino di non osservare la Legge.
So bene che esiste un imperativo morale, alto, che dice che non si devono osservare le leggi contrarie al diritto naturale e lesive dei principi fondamentali di libertà, giustizia e dignità della persona.
Ma dubito, fortemente, che per la fattispecie prevista dall’emendamento possa invocarsi l’obiezione di coscienza.
Non mi addentro sulla problematica della “retta coscienza” con quel che ne consegue !

Resto ai fatti.
Per norma costituzionale (art. 54) tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi, la cui formazione è affidata (art. 70) collettivamente ai due rami del Parlamento.
Su questi principi costituzionali si innesta un altro principio che, se da un lato garantisce l’autonomia di giudizio del giudice, dall’altro ne circoscrive l’azione: “I giudici sono soggetti soltanto alla legge” (art.101).

Non spetta al giudice sindacare sulla legge; al giudice spetta applicare la legge quale formulata dal Parlamento, unico titolare del potere legislativo.
Certo, nella formazione della legge, il Parlamento si avvale di tutti i pareri e contributi ritenuti utili e necessari (e tra questi anche il parere del Consiglio Superiore della Magistratura), ma sono pareri. Autorevoli, ma pur sempre pareri: nessuno di questi pareri può bloccare (a volte nel passato – e forse anche adesso – si è cercato di intimidire) sul nascere la volontà del legislatore. Guai se una corporazione, una lobby, riuscisse in questo intento: verrebbe meno un altro principio costituzionale, da difendere strenuamente, in cui si afferma che il parlamentare rappresenta la nazione nel suo insieme.

Tanto meno il giudice può rifiutarsi scientemente di applicare una legge, una volta che sia stata approvata dal Parlamento salvo che non ne ravvisi, nel corso di un procedimento l’incostituzionalità: nel qual caso deve attuare gli strumenti previsti di rinvio alla Corte Costituzionale.

Colpisce, poi, nel ragionamento del giudice Sansa il disprezzo in cui tiene il Parlamento considerato “corte di servitori” del Presidente del Consiglio. Possiamo discutere sulle modalità di formazione delle liste elettorali – ed io convengo, da sempre, che occorre tornare al voto di preferenza per sottrarre la nomina dei parlamentari alle decisioni delle Segreteria dei Partiti – ma resta il fatto che il Parlamento è eletto dai cittadini italiani con libere elezioni ed al Parlamento, nel libero gioco delle maggioranze ed opposizioni, spetta il compito di addivenire alla formazione delle leggi.

La presa di posizione del Giudice Sansa rafforza, inevitabilmente, coloro che sostengono che i magistrati esorbitano “politicamente” dalle loro funzioni e dalle loro attribuzioni, senza – peraltro – risponderne ad alcun corpo elettorale.

Voglio sperare, per il bene della democrazia nel nostro Paese, che quanto asserito dal Giudice Sansa rientri nello sfogo improvviso e immeditato a fronte di un provvedimento discutibile.