mercoledì 17 settembre 2008

Alpini mussulmani ? Mah !

La notizia l'ha data il TG5 delle ore 20.00 odierne. Presso la Scuola Alpina di Aosta è in fase di addestramento una ragazza, cittadina italiana, di origine marocchina e di religione mussulmana.
Il Comandante, gen, Claudio Berto, ci racconta che nelle nostre Forze Armate prestano servizio cittadini italiani di altre provenienze etniche, con viva soddisfazione e senza alcun problema di inserimento.Fin qui niente di strano, giacché a tutti i cittadini italiani si applica il dettato costituzionale di difesa della Patria.
Mi viene, tuttavia, spontanea una riflessione: come la mettiamo con la Preghiera dell'Alpino?
Qui sotto la riproduco nella versione originale, prima che qualche anima buona, pensasse di eliminare il riferimento alla difesa "della nostra millenaria civiltà cristiana".
Ma a parte ciò, mi pare che tutta la preghiera - e potrebbe essere altrimenti ? - sia espressione della Fede cristiana

Su le nude rocce, sui perenni ghiacciai, su ogni balza delle Alpi ove la provvidenza ci ha posto a baluardo fedele delle nostre contrade, noi, purificati dal dovere pericolosamente compiuto, eleviamo l'animo a Te, o Signore, che proteggi le nostre mamme, le nostre spose, i nostri figli e fratelli lontani, e ci aiuti ad essere degni delle glorie dei nostri avi. Dio o­nnipotente, che governi tutti gli elementi, salva noi, armati come siamo di fede e di amore. Salvaci dal gelo implacabile, dai vortici della tormenta, dall'impeto della valanga, fa che il nostro piede posi sicuro sulle creste vertiginose, su le diritte pareti, oltre i crepacci insidiosi, rendi forti le nostre armi contro chiunque minacci la nostra Patria, la nostra Bandiera, la nostra millenaria civiltà cristiana. E Tu, Madre di Dio, candida più della neve, Tu che hai conosciuto e raccolto ogni sofferenza e ogni sacrificio di tutti gli Alpini caduti, tu che conosci e raccogli ogni anelito e ogni speranza di tutti gli Alpini vivi ed in armi. Tu benedici e sorridi ai nostri Battaglioni e ai nostri Gruppi. Così sia.

venerdì 12 settembre 2008

FORZE NUOVE
Una nuova generazione di politici cattolici

Qualche tempo fa, scrivevo che per i cattolici italiani si è aperta una quarta fase per la loro presenza, per il loro servizio all’interno della comunità nazionale. Torno su questo argomento perché di tutto mi accorgo, tranne che di un impegno politico dei cattolici. Forse ha ragione Benedetto XVI a chiedere forze nuove, visto il flop colossale che i cattolici impegnati in politica – ad iniziare dagli autoproclamatisi “cattolici adulti” – hanno realizzato da quando si è “suicidata” la Democrazia Cristiana ai giorni nostri.
Un flop che si è combinato con il progressivo rinserrarsi nel ghetto dei temi “non negoziabili”: la bioetica, la difesa della vita, la tutela della famiglia e così via. Quasi che solo questi argomenti possano giustificare l’impegno dei cattolici nella vita pubblica, quasi che su altri argomenti del convivere civile: lavoro, economia, energia - tanto per citarne alcuni a caso – i cattolici non abbiano nulla da dire. Mi piace ricordare come, nell’immediato dopoguerra, politici cattolici quali De Gasperi, Gonnella, Fanfani, Mattei, Vanoni, Segni contribuirono o determinarono - rispettivamente – le scelte internazionali, giuridiche, abitative, energetiche, fiscali ed agrarie che consentirono al Paese di sviluppare il cosiddetto “miracolo economico” degli anni ’60.

Non posso accettare che i temi economici e sociali siano dominio incontrastato degli allievi del prof. Ruffolo o che i temi della giustizia siano una riserva di caccia di liberali e di marxisti.
Se i cattolici italiani prestassero maggior attenzione ai temi della politica anziché agli starnazzamenti sulle varie leadership oppure sugli amorazzi captati dalle onnipresenti intercettazioni telefoniche, sarebbe un bel passo avanti.
Ragionare sull’economia sociale, sulla sussidiarietà, sulla politica energetica potrebbe essere l’impegno per una stagione che si annuncia difficile, non per colpa dell’ex-governo Prodi o dell’attuale governo Berlusconi, ma per la situazione internazionale.

Benedetto XVI, a Cagliari, ha affermato che “Serve una nuova generazione di politici cattolici”. Un concetto forte, ma che ci riporta ad una debolezza strutturale dei cattolici italiani.

Un concetto forte perché riafferma il principio che la Fede non va rinserrata nella sfera privata, ma testimoniata nella vita pubblica, con coerenza, traducendo il messaggio evangelico in progetti politici credibili. In altri termini “Dio non può essere confinato in sacrestia”, ma testimoniato col nostro impegno nelle cose della politica. Per questo servono forze nuove, che percorrano strade nuove.
Forse è opportuno che nel ricercare e percorrere strade nuove i cattolici italiani riscoprano criticamente il “popolarismo” sturziano, summa del pensiero politico cattolico del secolo scorso in cui è del tutto evidente il senso della laicità dell’impegno politico dei cattolici.

La debolezza strutturale del mondo cattolico costituisce una forte remora al raggiungimento dell’obiettivo posto dal Papa.
Finita la stagione dell’unità partitica, oggi i cattolici italiani subiscono gli effetti perversi della diaspora che li mette alla mercè di altri valori culturali ed ideali. Questi quindici anni di esperienza disastrosa di diaspora dovrebbe convincere i cattolici italiani a cambiare pagina e cercare le strade di un’unità, non solo sui valori, ma anche nelle strategie e negli strumenti operativi. La lezione di laicità, propria, del “popolarismo” sturziano afferma che le forme di presenza politica dei cattolici nella vita del Paese sono assunte in totale autonomia rispetto alle gerarchie ecclesiali; ricordarselo, quando da più parti si teorizza che non è riproponibile l’unità dei cattolici in politica, può essere opportuno.
Accanto a questa debolezza, ne esiste un’altra. Ben più negativa: la base del mondo cattolico, le diocesi, le parrocchie, le associazioni sono alcuni passi indietro rispetto alla ricollocazione pubblica del cristianesimo. Al di là di significative e benemerite, ma sporadiche, iniziative di singoli vescovi manca un piano organico di formazione alla Dottrina Sociale della Chiesa che permei di sé le normali attività formative. Oltre ai convegni e agli incontri specializzati, è necessario calare la formazione alla Dottrina sociale nelle diuturne attività delle associazioni e della parrocchie. Un lavoro che non appare e che non gratifica, ma che serve a costruire quella generazione nuova di politici cattolici di cui ha parlato Benedetto XVI. Certo c’è un’altra strada, più comoda: “appaltare” la formazione ai movimenti; pessima strada che ha consentito l’immissione nel ceto politico di alcuni soggetti cattolici che raramente dimostrano di avere, quale punto di riferimento, la comunità ecclesiale nella sua interezza. Per questo è auspicabile che la Chiesa, espressa nelle Parrocchie e nelle Diocesi, con le sue strutture ordinarie, dia corpo e sostanza all’invito di Benedetto XVI.

lunedì 8 settembre 2008

La Russa. Altro che gaffe: un'ingiuria !



Povero Giovannino Guareschi. Ufficiale del Regio Esercito, per tener fede al giuramento di fedeltà al Re, trascorse alcuni anni in campo di concentramento in Germania. Lui, come tanti altri militari italiani che non seguirono gli allettamenti della Repubblica Sociale Italiana o come tanti altri che, lasciati senza direttive da Badoglio protagonista della “fuga ingloriosa” (qualcuno ricorda ancora la cantata dei partigiani GL del cuneense denominata “la Badogliede”), si opposero ai tedeschi a Cefalonia, in Jugoslavia, in Italia. Prima fra tutti, Aldo Gastaldi.

Povero Giovannino, chissà come deve essersi rivoltato al sentire un Ministro della Repubblica esprimere, nella ricorrenza dell’8 settembre, questa considerazione: “ Farei torto alla mia coscienza se non ricordassi (insieme ai caduti nella difesa della Patria, ndr) che altri militari in divisa, come quelli della Rsi, soggettivamente dal loro punto di vista combatterono credendo nella difesa della Patria, opponendosi nei mesi successivi allo sbarco degli angloamericani e meritando quindi il rispetto, pur nella differenza di posizioni, di tutti coloro che guardano con obiettivita' alla storia d'Italia

Considero importante superare gli steccati della guerra civile che ha insanguinato il nostro Paese. Ma parificare i militari che restarono fedeli al giuramento di fedeltà al re, a quelli che tale giuramento tradirono mi pare veramente un po’ forte.

Se c’erano motivi per opporsi all’entrata nel PPE del carrozzone PdL (con la sua componente AN che non pare aver assorbito completamento la svolta di Fiuggi), questo di La Russa costituisce un macigno difficilmente rimovibile.

Ci pensi bene l’UDC quando verrà il momento di esprimere il proprio parere.

domenica 7 settembre 2008

MORIRE DEMOCRISTIANI

Nell'ultimo numero della rivista "Formiche" è stato pubblicato l'articolo che riporto. Mi pare che contenga spunti di riflessione interessanti, specie in un momento in cui tutti si affannano nell'affermare che non ha più senso un partito di cattolici.
Non solo io ritengo che hanno abbia ancora senso, per il nostro Paese, un partito di cattolici specie dopo l'esperienza della diaspora di questi ultimi quindici anni seguiti al "suicidio" della DC, ma ho la presunzione di ritenere che tale partito non necessariamente debba avere la "benedizione" della Conferenza Episcopale Italiana, proprio perché credo nella laicità della politica.
Comunque, mi sono state di conforto le parole pronunciate oggi a Cagliari da Benedetto XVI.

Ecco l'articolo pubblicato su "Formiche"

Morire democristiani”: per molti ha rappresentato una paura, per tanti altri (soprattutto negli anni della seconda Repubblica) una speranza. Oggi, sembra più che altro un ricordo. Come non si può non notare la marginalizzazione di quella storia e di quegli uomini in questo Parlamento o in questo governo? Il dubbio è che non si tratti di un caso ma di una novità sostanziale. Dopo la fine dell’unità politica dei cattolici (e dell’egemonia Dc), la presenza cristiana era persino aumentata. L’abile regia di Camillo Ruini era riuscita a pervadere i Poli di una significativa nerbatura post-Dc. L’arrivo di papa Ratzinger e l’uscita di scena dello storico capo della Cei ha coinciso con un profondo ridimensionamento dei cattolici nelle istituzioni.
Il punto però non attiene solamente all’aspetto più apparente e superficiale dell’organizzazione del potere in Italia. Quel che oggi viene svelato è il pensiero debole dei centristi (di destra, sinistra e centro): un difetto strutturale di identità e missione.
La capacità politica di Berlusconi di interpretare l’elettorato senza la mediazione dei corpi intermedi, partito incluso, ha determinato uno sbandamento di quei protagonisti abituati alle liturgie, complesse e raffinate, della prima Repubblica. Di più, si è aggiunto il lavoro di elaborazione politica di Giulio Tremonti che ha riformulato le linee guida di una moderna economia sociale di mercato. Tutto questo ha spiazzato gli ex-dc. Che da un lato si erano “dimenticati” di affrontare in modo sistematico ed organico i temi economici e dall’altro sono rimasti prigionieri del pregiudizio anti-Cav, ritenuto – a torto o a ragione – un “usurpatore”. E non è un caso che a finire fuori gioco ci siano anche gli eredi dell’altra grande tradizione politica italiana: la sinistra.
Considerando Berlusconi un’anomalia sono diventati loro stessi – i rappresentanti dell’ortodossia partitica – un’anomalia.
Il guaio più grande è stato pensare che la storia e il presente politico dell’Europa non li riguardasse. È invece l’ancoraggio alle formazioni del Pse e del Ppe la chiave per la normalizzazione del sistema dei partiti in Italia. Certo, sono due grandi famiglie al cui interno convivono identità anche diverse ma quelle restano i punti di riferimento irrinunciabili per le forze politiche. E non c’è dubbio che Pse e Ppe siano alternativi fra loro anche se questo non esclude che, su singoli dossier, e in certi casi possano collaborare (al di là di uno scontato dialogo). Tradotto in italiano, questo significa che il Pd non può non essere nel filone del socialismo europeo e che l’Udc deve fare della sua storica appartenenza al Ppe un fatto strategico. Che, tradotto a sua volta, vorrebbe dire che non può non avere un rapporto privilegiato – ancorché su posizioni distinte – con l’altro partito iscritto nella famiglia popolare, il Pdl. È evidente che il partito di Casini se preferirà, per ragioni assolutamente legittime, non aderire al processo costituente del Pdl dovrà sfidare i cugini ex Forza Italia e An sul terreno dell’identità e del programma, magari recuperando l’adesione di exdc collocati nel Pd. Nel confronto fra le diverse anime del Ppe si potrebbero scoprire le tante contraddizioni del Pdl ma anche le altrettante possibili convergenze con l’Udc. È più importante il dibattito sulla leadership (su cui sono comunque gli elettori a svolgere funzione di arbitro) o la politica? Economia sociale di mercato e sussidarietà possono essere gli argomenti su cui rinnovare l’esperienza democristiana, o cattolica.
In autunno, per forza di cose, si riaprirà seriamente il cosiddetto cantiere delle riforme (una sorta di Salerno- Reggio Calabria del Parlamento). La Lega chiede il federalismo fiscale. I post-dc dovrebbero approfittarne per affermare la loro visione costituzionale e quindi chiedere di procedere contemporaneamente nella riforma della Carta, a partire – insistiamo! – dal titolo V e senza escludere forma di governo e giustizia. La crisi economica che sta muovendo solo i primi passi impone non solo una rigorosa politica di bilancio ma anche istituzioni maggiormente funzionali ed efficaci, tanto a livello nazionale (e locale) quanto a livello internazionale. Le scelte di questo governo sono assai discutibili (pensiamo per esempio alla mancata riforma dei servizi pubblici locali o alla volontà di non ridimensionare le province) ma molte vanno nella direzione giusta. Pensiamo alle proposte di Tremonti in sede europea e di G8. D’Alema, con senso di Stato, le segue con attenzione e spesso con favore. Perchè gli ex-dc che sono a vario titolo nell’opposizione debbono giocare di retroguardia? Per morire democristiani c’è bisogno dei democristiani, e perché i democristiani ci siano c’è bisogno che la strategia prevalga sulla tattica.