lunedì 5 ottobre 2009

PRODURRE UTILI E REALIZZARE PARTECIPAZIONE

Il tema della partecipazione dei lavoratori alla vita della propria azienda costituisce, pur sotto traccia, l’argomento più innovativo di una stagione politica pruriginosa. Alcuni l’hanno minimizzata, altri – culturalmente sordi – l’hanno ignorata, altri ancora l’hanno respinta in quanto ancorati ad una concezione archeologica dei rapporti sociali in una società evoluta: tanto per intenderci da padrone delle ferriere.
Certo, avvince la tautologica affermazione di Casini (UDC) che prima di pensare alla compartecipazione agli utili occorre operare perché le nostre aziende producano utili. Questa affermazione si ferma sull’uscio del problema e non ne apre la porta.
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Concordo, con il ministro Sacconi (PdL) quando nell’affermare “che i tempi sono maturi per estendere buone pratiche già ampiamente diffuse sul territorio” esprime l’avviso che “la nostra cultura di impresa è infatti impregnata della categoria della partecipazione”. Su questa lunghezza d’onda si ritrovano Galassi, presidente Confapi, “La democrazia economica è nei fatti già presente nelle piccole medie imprese. La partecipazione dei lavoratori alla vita dell’impresa è infatti più alta di quello che si può immaginare” ed insieme a lui altri esponenti di associazioni di categoria.
Bonanni, segretario generale CISL, ha ribadito a più riprese che il nostro Paese per poter competere sui mercati internazionali deve elevare la qualità complessiva dei prodotti e dei servizi e che tale obiettivo è perseguibile, tra l’altro, riconoscendo “ai lavoratori un eguale protagonismo nelle scelte generali e particolari, in uno spirito di co-responsabilizzazione”.
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Pare confortata dai fatti l’esistenza di un profondo senso di appartenenza e di fidelizzazione all’azienda da parte dei collaboratori. Se è così non si vede perché non si debba giungere alla formalizzazione di quanto avviene nella realtà, con strumenti legislativi che sanciscano l’attuazione dell’art. 46 della Costituzione nelle forme che l’autonomia contrattuale delle parti sociali concorderanno.
A questo percorso viene contrapposto l’argomento delle difficoltà economiche e finanziare attraversato dal nostro Paese. Argomento debole e miope. Debole perché è proprio nei momenti difficili che un Paese reagisce con decisioni forti e incisive per il futuro dei propri figli, miope perché solo una forte coesione sociale all’interno delle aziende e del Paese consentirà all’Italia di attraversare il guado verso la ripresa economica ed occupazionale.
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Senza lavoro non si producono utili, non si produce occupazione, non si produce partecipazione. C’è da chiedersi quanto le nostre aziende, quanto i nostri artigiani, commercianti ed imprenditori che vorrebbero creare utili, non sono posti nelle possibilità di riuscirci: non per mancanza di capacità, intelligenza, impegno ma per indisponibilità di linee di credito bancario, di cattive politiche sul territorio, di farraginosità amministrative, di ritardi nei pagamenti (anche da parte della Pubblica Amministrazione).
Molta parte del bandolo è nelle mani di governa, a livello centrale ed a livello locale. E non è lecito il gioco dello scaricabarile: non lo è mai, men che meno nella situazione in cui sta scivolando il Paese. Immaginare che qualora tanta parte del sistema bancario italiano continui a privilegiare le operazioni finanziarie, si possa intervenire con strumenti creditizi nella disponibilità dello Stato quali Poste Italiane o la Cassa Depositi e Prestiti non deve essere considerato blasfemo così come disporre che la P.A. amministrazione onori i propri debiti in tempi certi e ravvicinati, prevedendo sanzioni a carico dei dipendenti pubblici che “si coccolano” gli ordinativi di pagamento sulle scrivanie. Evidentemente l’elenco degli interventi possibili ed auspicabili non è terminato. Ciò che mi preme affermare è che gli interventi di sostegno sono indispensabili: poi gli imprenditori, gli artigiani, i commercianti – e di converso i liberi professionisti – il lavoro sapranno realizzarlo, insieme allo sviluppo delle proprie attività, l’incremento dell’occupazione e la compartecipazione dei lavoratori.
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Tutto questo ha un nome: solidarietà. E l’Italia ne ha proprio bisogno.

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