mercoledì 26 dicembre 2012

AGENDA MONTI. RIFLESSIONI


Che il Governo Monti abbia addottato dei provvedimenti - peraltro approvati dal Che il Che il Governo Monti abbia addottato dei provvedimenti - peraltro approvati dal Parlamento - molto "pesanti " per gli italiani non v'è alcun dubbio; che tali provvedimenti facessero parte di un "pacchetto" in larga parte già predisposto dal precedente governo Berlusconi (ma che non sarebbero mai passati in Parlamento vista la contrapposizone esistente fra gli schieramenti) è altrettanto vero. Che questi provvedimenti abbiano bloccato il Paese prima che cadesse del baratro tipo Grecia (e parzialmente tipo Spagna, ove quest'anno non vengono pagate le tredicesime) mi pare evidente. Che durante questo anno i partiti politici non abbiano saputo approvare uno straccio di riforma elettorale, né riformare il sistema di finanziamento degli stessi, né ridurre il numero dei parlamentari ed i relativi benefits, né riorganizzare il sistema territoriale degli enti locali, nè... rivedere le pene alternative alla carcerazione mi sembra palese: eppure erano gli unici compiti che avrebbero dovuto perseguire, atteso che la parte economico-finanziaria era seguita dal Governo (salvo approvazione del Parlamento).
Ma questa è storia passata. Prima di sparare a zero su Monti proverei ad analizzare i contenuti dell'agenda Monti e confrontarla con le proposte dell'area politica che fa riferimento a Bersani e di quella che fa riferimento a Berlusconi.
Evidenzio solo due aspetti -che ho trovato solo nell'agenda Monti - 1. l'esigenza che il nostro Paese superi culturalmente la disparità fra uomo e donna; 2. l'esigenza che il nostro Paese procrei più figli.
Capisco chele parole valgono per quello che valgono e occorrono anche le persone che vi diano gambe: ma mi proeccupano le persone che dovrebbero dare gambe alle proposte
(quali?) di Berlusconi ed a quelle (composite e viziate dalla presenza di Vendola) di Bersani. Così come mi preoccupa che per il nostro Paese si apra una nuova stagione di contrapposizione frontale simile a quella dell'ultimo ventennio.

Ciò detto, mi lascia perplesso questo "etichettare" il prossimo pro-Monti o contro-Monti: speravo che il nostro Paese avesse superato la malattia del "partito-personalizzato" e si potesse ragionare in termini di contenuti.

Io sto ancora ragionando.

sabato 8 dicembre 2012

ILVA. Quando i nodi vengono al pettine.


Il Consiglio dei ministri ha approvato il decreto legge per il risanamento ambientale e la continuità produttiva dell'Ilva di Taranto, che recepisce le indicazioni emerse nel corso dell'incontro tra Governo, parti sociali, amministratori locali e vertici aziendali del 29 novembre scorso.

"Non possiamo ammettere che ci siano contrapposizioni drammatiche tra salute e lavoro, tra ambiente e lavoro e non è neppure ammissibile che l'Italia possa dare di sè un'immagine, in un sito produttivo così importante, di incoerenza". Lo ha detto Mario Monti al termine del Consiglio dei ministri che ha varato il decreto Ilva o decreto, come puntualizzato da Monti, "decreto salva ambiente-salute-lavoro". "L'intervento del governo è stato necessario perché Taranto è un asset strategico regionale e nazionale", ha aggiunto Monti.

La Fim-CISL, attraverso il suo segretario nazionale Bentivogli,  ha espresso un giudizio positivo sull`approvazione del decreto Ilva da parte del Consiglio dei Ministri. "Riteniamo che il testo consenta il giusto equilibrio utile a consentire l`applicazione dell`Aia approvata il 26 ottobre e non riproporre lo scontro muscolare di questi mesi".  "Il decreto rafforza l`Aia che ottiene status di legge primaria, obbliga perentoriamente l`azienda ad attenersi al rispetto inderogabile delle procedure e dei tempi del risanamento. Riteniamo - ha aggiunto - di grande valore la creazione della figura del Garante della vigilanza sull'attuazione degli adempimenti ambientali anche al fine di superare lo scontro istituzionale generato attorno a questa vicenda».
 
"Sono mesi - ha detto il segretario CISL Bonanni - che teniamo desta l'attenzione con iniziative che sottolineano una situazione intollerabile per il lavoro non solo perché‚ viene messo in discussione ma anche perché‚ viene criminalizzato da discussioni estremistiche che fanno ritenere che chiudere quegli impianti significherà bonificare Taranto ma così non si bonifica Taranto da 40 anni di veleno non gestiti nel sito industriale".
 
Sulla vicenda Ilva esiste un problema di risorse. Si deve essere consci che ben difficilmente l’Ilva riuscirà a reperire tutte le risorse economiche per attuare quanto stabilito dal decreto-legge, così come bisogna aver presente il costo economico e sociale del risanamento dell’intera area urbana di Taranto che non deve, né può, gravare solo sullo Stato:  la Regione Puglia ha una sua specifica responsabilità, essendo direttamente competente per le politiche ambientali nel territorio e in questo caso drammatico la Regione Puglia (che avrebbe dovuto essere più attenta a quanto accadeva nel centro scopo, per reperire una parte delle risorse necessarie.

Dovendosi valutare le vicende che hanno investito il centro siderurgico di Taranto la prima considerazione è che il Paese si è trovato di fronte a decisioni – senza anima – adottate da un ordine (è noto che sotto il profilo costituzionale la magistratura è un ordine) che si è trasformato in un potere, assumendo provvedimenti di competenza della politica – assente da anni sui problemi della politica industriale – e incidendo in maniera economicamente e socialmente rilevante sulle attività produttive del Paese.

A questo deve aggiungersi che la vicenda ILVA costituisce il culmine della “privatizzazione all’italiana” inaugurata da Romana Prodi allorché diede corso alle privatizzazioni senza liberalizzazioni negli anni Novanta svendendo l’immenso patrimonio della vecchia IRI ad industriali, o presunti tali.

Nel caso della siderurgia, “i rottamatori da forno elettrico”  ebbero la responsabilità di  imprese siderurgiche a ciclo integrale tra le più avanzate del mondo, grazie al lavoro di tecnici ed operai che costituivano motivo di vanto e di orgoglio per il nostro Paese. La miopia che privilegiava una qualsiasi proprietà privata rispetto a quella pubblica e l’incapacità di leggere i cicli dell’economia internazionale fecero credere a chi reggeva in allora le sorti della politica italiana che fossero superate le industrie di beni strumentali che dovevano essere chiuse o delocalizzate o svendute a privati di bocca buona compiendo l’operazione “spezzatino”: non fu un’operazione di “liberalizzazione” della siderurgia (e non solo) , ma una bieca e sporca “privatizzazione” che consegnò i gioielli delle aziende di stato a imprenditori che “per grazia divina” venivano considerati più abili e a capaci di coloro che le avevano portate a competere sui mercati internazionali anche con risultati prestigiosi. La “deregulation” divenne l’imperativo categorico di un’intera classe politica italiana, sulla scia dell’esempio anglosassone; la chimica, la siderurgia, la metalmeccanica, la progettazione impiantistica, le telecomunicazioni, la siderurgia, la navalmeccanica ecc. furono declassate ad aspetti residuali dell’economia del Paese, se non addirittura spazzate via.

Intere aree industriali furono cedute a prezzi irrisori ai nuovi arrivati, spesso senza porsi il problema di un diverso e più proficuo utilizzo delle stesse in termini occupazionali ed urbanistici.

Adesso siamo giunti al capolinea. I cinesi e gli indiani –ma ben presto altre nazioni seguiranno – fanno concorrenza a ciò che resta della produzione italiana; i famosi “rottamatori delle valli pedemontane” riconsegnano al Paese aziende ed aree ad alto livello di inquinamento, avendo investito poco o nulla sull’adeguamento tecnologico-ambientale e, magari, spostano la produzione in Paesi di “bocca buona” in termini di tutela dell’ambiente e del lavoro.
 
Per quanto riguarda Genova come considerare l”accordo di programma” che mantiene nel cuore della città un’azienda a bassa intensità occupazionale su ampi spazi preziosisimi a fil di costa, sia per il porto, sia per l’insediamento di industrie ad alto contenuto tecnologico ?. Un accordo tutto sbilanciato a favore dell’ILVA, in cui è presente la cassa integrazione in maniera endemica e che, soprattutto, lega la sopravvivenza dello stabilimento di Cornigliano all’ approvvigionamento dei semilavorati realizzati nel centro siderurgico di Taranto.

Fu una scelta sbagliata - che chi scrive valutò negativamente sin dall’inizio – di cui Genova paga tutte le conseguenze negative e che, tutt’ora, la stessa classe dirigente che operò quella scelta continua a considerare positiva (d’altronde ricredersi su quella scelta sarebbe un suicidio politico……).

Ci sarebbe da svolgere anche qualche considerazione su alcuni ambienti della Curia genovese che sostennero le scelte dell'accordo di programma non si comprende se per cecità o visione paleoindustriale o per comodo accodarsi alla linea politica espressa dalla sinisitra genovese: ma su ciò è meglio stendere un velo pietoso....anche se quei personaggi continuano a sostenere la validità di quella scelta.
 
Peccato che a pagare quella scelta siano, adesso, i lavoratori dell’ILVA, quelli dell’indotto (artigiani, PMI, professionisti ecc.) e le loro famiglie.